Furti di opere d’arte? Parliamo piuttosto di rapine e saccheggi, se ci riferiamo al III-II secolo a.C., quando, come scrisse Orazio, i rozzi vincitori romani conquistarono l’Italia e la Grecia. La futura “padrona della terra” entrò così in contatto con un mondo governato da eleganza e raffinatezze, popolato da simboli di elevato status sociale come pitture, quadri, affreschi, mosaici e tantissime statue di bronzo e di marmo.
In linea di massima, distinguiamo un primo impatto con il mondo greco più vicino a Roma, come la Magna Grecia e la Sicilia, da quello successivo alla conquista dell’Ellade nel II secolo a.C. Al momento dello scontro, in Italia e Sicilia solo due città potevano vantare una potenza politica e militare in grado di opporsi ai Romani: Siracusa e Taranto. Della conquista di quest’ultima ci racconta Tito Livio (XXVII, 16, 7) il grande storico patavino: quando Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore prese Taranto, nel 209 a.C., accumulò un bottino impressionante; a parte 30 mila schiavi e una quantità di argento e monete per un totale di 80 mila libbre (268 kg,) non si contarono le statue e le pitture in numero quasi uguale a quello di Siracusa, perché tre anni prima il console Marcello aveva accumulato un bottino anche superiore quando, nel corso della razzia, un soldato romano uccise il grande Archimede.
L’assimilazione avvenne con furti e rapine. E dovremmo pure dire grazie ai “falsari”
Altro episodio fondamentale, nel 146 a.C., fu la presa di Corinto. Un osservatore straordinario, lo storico Polibio, al seguito delle truppe romane, una specie di anticipatore dell’inviato di guerra, descrisse con raccapriccio la scena dei soldati vincitori che, rovesciate le tele di celebri pittori, le usavano per giocarci a dadi. E inorridiamo leggendo in Plinio che il console Lucio Mummio fece distruggere la tela di un grande pittore tebano perché un raffinato collezionista, Attalo, re di Pergamo, offriva una cifra enorme per acquistare il quadro, tanto da indurre nel romano il sospetto che quella, che per lui era una crosta, celasse qualcosa di magico. Ma i soldati romani, essendo cominciata l’epoca del collezionismo, si dedicarono allo scavo delle tombe da cui recuperarono vasi da destinare al commercio di anticaglie. A parte questo, santuari, templi e cappelle votive furono il bersaglio principale per accumulare oggetti preziosi e statue.
Dobbiamo ora dedicare un breve cenno alle conseguenze del trasferimento a Roma, e, subito dopo, in regioni come il Lazio e la Campania, di migliaia di opere d’arte destinate a decorare luoghi pubblici o dimore private di grandi aristocratici. Tutti ambivano al possesso di una statua di divinità o del ritratto di poeti e filosofi famosi. Ma gli originali greci presto andarono esauriti, mentre la domanda di statue greche aumentava al punto che a questo bisogno fecero fronte numerose botteghe di copisti, ai quali dobbiamo la conoscenza, se pur sbiadita, perduta la grandissima parte degli originali, di buona parte della storia dell’arte greca e il diffondersi del gusto artistico ellenico in Occidente.
Furti di opere d’arte? Parliamo piuttosto di rapine e saccheggi, se ci riferiamo al III-II secolo a.C., quando, come scrisse Orazio, i rozzi vincitori romani conquistarono l’Italia e la Grecia. La futura “padrona della terra” entrò così in contatto con un mondo governato da eleganza e raffinatezze, popolato da simboli di elevato status sociale come […]