L'Alto e il Basso
di Peter Gomez

Arte rubata: quando il ladro è un potente, la guardia è disarmata

Possiamo fare finta che la colpa sia tutta loro: dei tombaroli, dei falsari, dei ladri e dei mafiosi che si sono scoperti esperti e mercanti clandestini d’arte. In fondo dietro ogni capolavoro scomparso ci sono loro: i cattivi. I malviventi. Gli avanzi di galera. I tipi poco raccomandabili che nessuno inviterebbe a cena. Ma se solo ci ragioniamo un attimo, se solo riflettiamo sui numeri del saccheggio, se solo pensiamo ai dieci miliardi di dollari che fattura nel mondo ogni anno l’arte rubata o contraffatta, ecco che qualcosa all’improvviso non torna. Perché i reati legati a quadri, statue, reperti archeologici, così come quelli legati al fisco o alla pubblica amministrazione, sono una faccenda da ricchi, non da poveri. Il mercato degli acquirenti finali, e a volte quello dei committenti dei furti, è rappresentato da una ristretta élite che spesso coincide con chi ha in mano i destini di grandi aziende, banche o partiti politici.

È Marcello Dell’Utri, il braccio destro di Silvio Berlusconi e cofondatore di Forza Italia, che si ritrova in mano 13 preziosi libri antichi rubati nella biblioteca napoletana dei Girolamini e per questo viene prima assolto in tribunale e poi prescritto in appello. È Vittorio Sgarbi, l’ex sottosegretario alla Cultura del governo Meloni, che secondo il racconto di un falsario chiede di dipingere una candela su un quadro del ’600 di Rutilio Manetti in modo da confondere le acque e sostenere di aver ritrovato l’opera – rubata in un castello di Buriasco – nella soffitta della sua casa di Viterbo. Sono i grandi musei americani, come il Museum of Modern Art di New York o il Getty Museum di Los Angeles, che negli anni hanno esposto più o meno consapevolmente pezzi di inestimabile valore provenienti dal saccheggio sistematico dei nostri scavi archeologici.

Il saccheggio dei beni culturali è un reato d’élite. E se poi si mettono le volpi a sorvegliare il pollaio…

Non è un caso. Il mercato dell’arte, anche quando è legale, è borderline. Al World Economic Forum di Davos del 2015, l’economista francese Nouriel Roubini ha spiegato: “Che ci piaccia o no, l’arte è usata per l’evasione e l’elusione fiscale. Puoi comprare qualcosa per mezzo milione, non mostrare un passaporto e spedirlo. Un sacco di gente usa l’arte per riciclare”. Ovvio che in un mondo così opaco ci si infili di tutto. Del resto chi si occupa di pittura contemporanea sa quanto conti tra galleristi, fondazioni e mercanti “il mercato delle vedove”, cioè la capacità di legarsi a doppio filo con gli eredi di un artista scomparso (in genere la moglie) autorizzati a dichiarare con la loro firma come autentiche opere dubbie, contestate o persino false. Ogni operatore del settore sa che conservare opere d’arte (molte decine di migliaia) nei giganteschi magazzini blindati dei porti franchi francesi, inglesi e tedeschi, è utile non solo per proteggersi da furti, ma anche per svolgere commerci senza controlli e senza tasse.

Così oggi gli investigatori parlano addirittura di “stati canaglia”. Di rispettabili e rispettate nazioni come il Belgio, la Francia, la Germania e la Svizzera dove le leggi e i mancati controlli rendono semplice creare documenti e cataloghi che attestano una storia falsa e apparentemente lecita (per esempio, “proveniente da collezione francese”) di opere invece trafugate.

E allora perché stupirsi del continuo saccheggio della nostra arte? I carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio culturale sono forse gli investigatori migliori del mondo. Ma combattono ad armi impari. Hanno nemici ovunque. All’estero e persino nei ministeri che dovrebbero essere loro alleati. Per Sgarbi, indagato per riciclaggio e autoriciclaggio dell’opera di Manetti, vale come per tutti la presunzione di non colpevolezza. Sarà il processo a stabilire se per condannarlo bastano la confessione del falsario e una perizia che attesta come la tela rubata a Buriasco e quella contraffatta conservata a casa sua siano lo stesso quadro (la prudenza è d’obbligo vista la percentuale di potenti che in Italia vengono curiosamente assolti).

Ma già adesso possiamo dire di aver messo, coscientemente, una volpe alla guardia del pollaio. Quando Sgarbi è stato scelto per la seconda volta come sottosegretario era già un pregiudicato. E lo era pure nel 2001 quando sedette per la prima volta al ministero. Lo era quando fu nominato assessore alla Cultura in Sicilia e quando fu candidato ed eletto sindaco di Sutri, di Salemi e di Arpino. Nel 1996 era stato condannato per falso e truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato nelle vesti di dipendente (assenteista) del ministero dei Beni culturali, lo stesso dicastero di cui poi sarebbe diventato uno dei responsabili.

Eppure nessuno in questi anni ha voluto tenerlo lontano dall’amministrazione della cosa pubblica. E allora perché stupirsi per i continui furti della nostra arte? Viene in mente Franco Battiato: “Povera patria schiacciata dagli abusi del potere di gente infame che non sa cos’è il pudore”. Già, povera patria.

Possiamo fare finta che la colpa sia tutta loro: dei tombaroli, dei falsari, dei ladri e dei mafiosi che si sono scoperti esperti e mercanti clandestini d’arte. In fondo dietro ogni capolavoro scomparso ci sono loro: i cattivi. I malviventi. Gli avanzi di galera. I tipi poco raccomandabili che nessuno inviterebbe a cena. Ma se […]

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