Newyorkese in purezza, un tratto (e gli occhialini) un po’ alla Joyce Carol Oates e un po’ alla Woody Allen. Giornalista, scrittrice, da molti è considerata la voce più autorevole del mondo dei vini senza chimica aggiunta, i “naturali”. Li ha raccontati su Wall Street Journal, Time, New York Times. Se la si definisce “guru” non si scompone. Quando le dicono che è solo “una fan di Scientology della domenica” invece sì. Figliol prodiga di una famiglia ebrea ortodossa di Long Island, il suo nome è Alice Feiring. Sul suo taccuino sono finite – esaltate, maledette – migliaia di bottiglie. Una vita spericolata tra Borgogna e Barolo, Cile e Georgia. È anche scampata a un serial killer, quello del “Dating Game” (dal nome del popolare quiz tv anni ’70 a cui l’uomo aveva partecipato). Bastian contrario, Feiring ha scelto di intraprendere – quando quasi nessuno lo faceva – la strada del vino naturale, attirandosi le critiche dei colleghi (maschi) e pagandone il prezzo. È finita coinvolta nelle manipolazioni dei giornali e negli eccessi del #MeToo. Però non cambia rotta. «Il primo incontro con il vino naturale è come passare di colpo dal bianco e nero a una girandola di colori psichedelici» dice spesso Alice. Il suo paese delle meraviglie. In una bottiglia.
Come sta il vino? C’è una grande ondata “salutista” che sembra lo stia sommergendo, specie negli Usa, ma anche in Europa.
Il consumo di vino è in declino. Innanzitutto è troppo costoso. E poi ci sono i rapporti fuorvianti dell’Organizzazione mondiale della sanità, scritti in realtà da Movendi, un’organizzazione puritana svedese che alimenta una nuova era proibizionista.
Il vino naturale è fatto secondo natura, quello convenzionale per il mercato. Molti non vogliono che si dica e mi bollano come fanatica: ma temono solo di perdere pubblicità
Sta dicendo che il vino è sotto attacco da parte di questi due fronti? Prezzi e neo-puritanesimo?
Esattamente.
E il vino naturale? È ancora sulla cresta dell’onda o è in risacca? Chi sono i “furbi del vino naturale”? Anche in questo mondo c’è un problema legato al prezzo?
C’è la tendenza e c’è la verità. Il vino naturale è un correttivo dopo decenni di bevande altamente manipolate. Ce ne sarà sempre bisogno e richiesta. Certo che poi c’è un problema di prezzo del vino – e del vino naturale – in questo momento. È semplicemente troppo costoso e questo contribuisce alla crisi del mercato. Ci sono molti “profittatori” che applicano prezzi più alti del dovuto, ma non è questo il problema più urgente. È il costo delle materie prime che è impazzito, e di conseguenza il prezzo di bottiglie, carta, tappi…
Il mondo del vino convenzionale si sta aprendo a quello naturale?
Io la direi così: è il vino naturale sta cambiando il mondo convenzionale. Grazie al vino naturale, anche le aziende migliori utilizzano una maggiore quantità di lieviti autoctoni e una minore quantità di zolfo, considerando quanti processi e ingredienti devono realmente utilizzare.
Se dovesse usare tre parole per descrivere a un neofita il vino naturale e quello convenzionale, quali userebbe?
Naturale: fatto secondo natura. Convenzionale: fatto per il mercato.
Lei ha violentemente criticato il “sistema-Parker” (quello del celebre critico di vino Robert Parker che è riuscito a “imporre” al pubblico – e ai produttori – la moda di vini fruttati, legnosi e ad alto contenuto alcolico, ndr). Pentita di averlo fatto? Oggi quel sistema come se la passa?
Ho criticato l’effetto Parker, ma non tanto l’uomo, che è perfettamente adorabile, tranne che per la sua deliberata ignoranza all’epoca. Nessun rimpianto. Doveva succedere. Qualcuno doveva parlare. Lo avesse fatto un uomo… Ma non è stato così. L’ho fatto io.
L’informazione sul vino è plurale? Come è/è stata la sua esperienza? Mai qualche censura?
Mai stata censurata. Anche se quando scrivevo per altre testate ovviamente venivo editata. Inoltre, non ho mai avuto un lavoro da dipendente, non potevo essere licenziata perché non ero stata assunta.
Un critico viene pagato bene? È un mestiere che da questo punto di vista consiglierebbe di fare?
Scrivere di vino è un patto con la povertà. Non si guadagna nulla, a meno che non si sia molto, molto fortunati, e io non lo sono stata. I critici enologici dei grandi giornali possono guadagnare bene, ma negli Usa ci sono forse tre posti di lavoro decenti di questo tipo.
Ha pagato un prezzo per le sue posizioni nette? Qualche contratto saltato?
Alcune testate mi hanno detto esplicitamente che non potevo scrivere di vino per loro (come Gourmet e Food & Wine). Temevano di perdere la pubblicità. Mi consideravano “troppo controversa” anche per le rubriche. Ma questo è successo soprattutto dopo il mio articolo del 2001 per il New York Times “For Better or Worse, Winemakers Go High Tech”. In seguito, però, alcune testate come il Wall Street Journal Magazine e il Men’s Journal hanno apprezzato il mio carattere polemico. Molti invece mi hanno liquidato come una fanatica e sicuramente come una che non stava al gioco (cosa che non facevo).
Lei descrive le informazioni sul vino naturale fornite dal suo “thefeiringlines” come – è scritto proprio sotto la finestra “Abbonati!” – “le più autorevoli”. Modesta!
Me lo avrebbe chiesto se fossi stata un uomo? A proposito, dove l’ha trovato? È piuttosto vecchio, risale a quando ho debuttato con la newsletter del 2011…
È ancora lì…
Era una battuta ironica. Ma avevo anche un’autorità. C’era qualcun altro specializzato in questo specifico settore? E, a differenza della maggior parte degli scrittori di vino, la mia opinione non era comprata da viaggi stampa o bottiglie omaggio.
Lei ha testato migliaia di vini. Di una degustazione preferisce guardare, odorare, gustare o sputare?
Se sono meno di cinque vini, assaggia. Di più? Sputa.
La bottiglia che vorrebbe bere di nuovo e quella che l’ha delusa.
La risposta dipende dal mio umore. Ma mi piacerebbe (sentimentalmente) bere ancora il primo vino che mi ha fatto conoscere il Barolo, uno Scanavino del 1968.
Lei ha detto che non ha interesse a saltare la barricata, cioè a produrre vino. Perché?
Non sono abbastanza meticolosa. Faccio schifo negli affari. La mia pelle è troppo chiara. Ho il terrore delle punture d’ape. Sarebbe un disastro e, alla fine, sono prima di tutto una scrittrice.
Parliamo dei vanesi del vino. Come status symbol, il vino genera mostri? Ne ha incontrati?
Persone che si vantano di quello che hanno senza amare veramente quello che c’è dentro la bottiglia? Certo che esistono, e anche loro si dedicano al vino naturale, sostituendo i loro Bolgheri con i Jura. Poveretti.
Le donne e il vino. Un binomio che secondo lei funziona per qualche ragione specifica? Esiste una via femminile al vino? Esiste solidarietà femminile all’interno del mondo del vino?
Prima parte della domanda: trovo questo tipo di domande sessiste. La seconda parte: in alcuni Paesi c’è più solidarietà tra i produttori di vino, l’Italia e la Georgia mi sembrano avere due dei più grandi club femminili, cioè donne produttrici di vino che sono amiche, si frequentano e si sostengono a vicenda.
Esiste il maschilismo nel mondo del vino e della critica? Anche lei ne è stata bersaglio?
Proprio questa primavera mi hanno chiesto di intervenire a ViniVeri (evento di una delle maggiori associazioni del vino artigianale, ndr) ma in seguito ho scoperto che avevano bisogno di me solo per avere una rappresentanza femminile. In questo settore l’Italia è di gran lunga più maschile degli Stati Uniti. E sì, sono stato il bersaglio molte volte. Probabilmente anche più di quanto mi renda conto.
Devo chiederglielo. Il caso delle molestie denunciate da Raquel Makler nei confronti del sommelier Anthony Cailan (vedi scheda in fondo all’articolo). Lei ha dato dei consigli a Makler e parte del vostro scambio di e-mail è finito sul New York Times. E per le sue frasi riportate dal giornale lei è stata pesantemente attaccata dagli ambienti del #MeToo. Si porta ancora oggi dietro le conseguenze di quella storia?
Ho ricevuto proprio l’altro giorno una nuova mail carica d’odio. Quella storia di fondo era piena di toni degni di una tragedia shakespeariana, piena di presa di potere, vendetta e sacrificio… Da allora Raquel ha cambiato nome. La donna che ha portato la storia al New York Times (che pensava di avere le sue ragioni per cercare di mettermi a tacere) non scrive più di vino. Il ricordo di quel momento di cinque anni fa è molto traumatico. Raquel ha detto di essersi pentita di essere stata manipolata e di avermi coinvolto in quella storia, ma io non l’ho sentita direttamente. Mi sono presa il tempo (grande errore) di scriverle a cuore aperto delle mie esperienze di violenza sessuale e di come, almeno in un caso, le scuse ricevute abbiano avuto un grande significato. Poiché non mi ha mai detto quale fosse la sua esperienza, ho parlato solo della mia e di varie situazioni ipotetiche. Mi ha risposto ringraziandomi. Che era d’accordo. Poi le ho chiesto come stava, sperando che stesse bene. Non mi ha mai risposto.
Ma non era finita…
Poi c’è stata la storia del Times e di una vera e propria mafia interna: l’attenzione si è concentrata su di me e sulla mia lettera a lei, non sulla questione principale della violenza sessuale. Volevo morire. Ho risposto per solidarietà, nella speranza che ciò potesse aiutare una donna più giovane ad affrontare la situazione. Ovviamente non sono riuscita a darle quello che voleva. Vorrei con tutto il cuore non averle raccontato alcune delle mie esperienze. Vorrei averle semplicemente scritto: “Mi dispiace molto per quello che hai passato, ma non posso consigliarti perché non mi hai detto cosa è successo”. Non le ho mai detto di tacere, le ho detto che se lui (Cailan, ndr) era davvero un amico – e ‘se’ non c’era stata alcuna costrizione – avrebbe potuto provare a parlargli, come primo passo. Non è mai stata mia intenzione ferirla, e naturalmente mi dispiace. Per alcuni mesi sono stati cancellati tutti i miei libri e i miei interventi, alcuni con crudeltà. Qualcuno mi ha addirittura inviato per posta un pacco con dentro merda di elefante.
Come ha reagito?
Avevo un gruppo di persone che si è preso cura di me, che si è assicurato che rimanessi in vita. Alcuni hanno convocato una riunione direttamente con il New York Times per discutere di come la mia lettera fosse stata ingiustamente manipolata e riportata in modo fuorviante – e la storia è risultata essere quella di mettere a tacere una donna – me – e non Cailan. Ho ricevuto una valanga di e-mail (molte da persone del Times e da altre persone importanti, oltre che da molti sconosciuti) di sostegno, e quasi tutti mi hanno detto che avevano paura di parlare pubblicamente a mio favore. È stato un periodo terrificante.
Ci sono analogie tra gli eccessi del “machismo” e quelli del #MeToo? Pensa che il #MeToo abbia prodotto anche reazioni violente?
Forse è stato necessario rompere tutto per poter ricostruire e affrontare il sessismo e le aggressioni in modo più onesto e realistico. Le donne dovevano esprimersi, ma lungo la strada si sono perse tutte le sfumature e gli innocenti e i malcapitati sono stati gettati insieme ai mostri. Molte persone innocenti sono state bruciate sul rogo, altre colpite dal fuoco incrociato. Il silenzio e lo scontro dovevano finire. Un po’ è successo. Ma la strada da percorrere per un vero cambiamento è ancora lunga.
Torniamo al vino. Oscar Farinetti ha detto lo scorso luglio che la parola “naturale” applicata al vino è una parola “fascista” e che chi fa vino naturale è una femminuccia. Lei cosa ne pensa?
La notizia non è stata diffusa negli Stati Uniti. Ne ha parlato però Aaron Aysough, un giornalista di vino che lavora a Parigi. Farinetti sembra infastidito dal fatto che i suoi clienti vogliano un tipo di vino diverso da quello che i suoi amici grandi produttori di vino vogliono produrre.
Le chiedo: Francia o Italia?
Se riduciamo la domanda a “Piemonte o Borgogna?”, “Jura o Valtellina?”, “Loira o Emilia” non vorrei sceglierne una piuttosto che un’altra.
Continuerà la sua vita da giramondo tra vino e articoli? Ne vale la pena? E quale sarà la prossima recensione di “thefeiringlines”?
Continuo a viaggiare e a cercare grandi persone e vini. Non scrivo molto per altre riviste, a parte Noble Rot, cosa che faccio regolarmente. Le opportunità di pubblicazione stanno morendo – e non sono disposta a scrivere per 0,50 dollari a parola, che è spesso la tariffa corrente. Quindi, scrivo quando viene fuori qualcosa di veramente buono, e mi concentro sui miei libri e sulla feiring.substack.com. È lì che va la maggior parte della mia scrittura. Forse tornerò a scrivere narrativa, opere teatrali e, si spera, un libro di memorie madre/figlia.
Violenza sessuale, il caso Cailan-Makler. Nel 2019 Anthony Cailan, un famoso sommelier che all’epoca lavorava al ristorante Usual di New York, è stato accusato di violenza sessuale da Raquel Makler, una giovane collega. Makler si è rivolta ad Alice Feiring, che non conosceva, ma che si diceva fosse una delle sue figure di riferimento, per avere consigli e sostegno. Stralci dello scambio di e-mail tra le due donne – «conversazioni private» prese «fuori contesto», dice Feiring – finiscono sul “New York Times”. Feiring viene “inchiodata” soprattutto per la frase: “Sta a noi imparare a dire no alle avance sessuali indesiderate… Ma (Cailan) era ancora solo un ragazzo che deve crescere un po’. Forse lo hai percepito come una persona potente nel settore, ma non lo era e non lo è”. Feiring ha spiegato. Si è scusata pubblicamente: “Mi pento davvero di non aver scritto quella lettera con più compassione”, ha detto. “Ho risposto impulsivamente, sulla base della mia esperienza personale di abuso”. Ha continuato: “Non consiglierei mai a una donna di tacere… Le ho solo detto che non tutte le situazioni devono finire sui giornali o sui social media”.
Alice Feiring. Scrittrice e giornalista newyorkese, Alice Feiring è la più riconosciuta divulgatrice del vino naturale. Ha scritto su Los Angeles Times, Wall Street Journal, Time e New York Times. La sua newsletter è The Feiring Line. I suoi libri: To Fall in Love, Drink This (2022); Natural Wine for the People (2019, in Italia Vino naturale per tutti, ed. Slowfood); The Dirty Guide to Wine: Following Flavor from Ground to Glass (2017); For the Love of Wine: My Odyssey through the World’s Most Ancient Wine Culture (2016); Naked Wine: Letting Grapes Do What Comes Naturally (2011, in Italia Vino (al) naturale, ed. Slowfood); The Battle for Wine and Love: Or How I Saved the World from Parkerization (2008)
Newyorkese in purezza, un tratto (e gli occhialini) un po’ alla Joyce Carol Oates e un po’ alla Woody Allen. Giornalista, scrittrice, da molti è considerata la voce più autorevole del mondo dei vini senza chimica aggiunta, i “naturali”. Li ha raccontati su Wall Street Journal, Time, New York Times. Se la si definisce “guru” […]