Nel 2023 il mondo ha emesso 57 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (cioè che comprende anche altri gas, come il metano e gli ossidi di azoto, nonché le emissioni derivanti dalla deforestazione). Il sistema agroalimentare globale ne rappresenta circa il 30%, secondo quanto emerge dallo studio The environmental footprint of global food production di Benjamin Halpern dell’Università della California e dei suoi 16 coautori internazionali, apparso nel 2022 su Nature Sustainability, che quantifica le emissioni del sistema agroalimentare mondiale dell’ordine del 23-34% delle emissioni di gas serra globali, derivanti soprattutto da cinque paesi (India, Cina, USA, Brasile e Pakistan) per la produzione di carne, riso e frumento.
Questo vuol dire che l’atto più normale della nostra quotidianità, mangiare, può fare molto per migliorare o peggiorare la crisi climatica e ambientale. Prima di tutto tocca evitare l’ingiustificabile spreco di cibo: secondo il rapporto Waste Watcher 2024 ogni italiano butta via circa 35 kg di cibo all’anno, e questo in un mondo dove 733 milioni di persone ancora non hanno di che nutrirsi a sufficienza è inaccettabile (dati Fao).
Emissioni, quanti danni dal volere frutta fuori stagione
Per ridurre invece le emissioni nascoste nella filiera produttiva del cibo bisognerebbe conoscere la quantità di CO2 equivalente di ciascun prodotto, un dato che potrebbe essere riportato in etichetta, ma al momento non c’è. Quindi ecco qualche criterio generale per limitare il nostro impatto sul clima. Mangiare meno carne: l’allevamento del bestiame, soprattutto bovino, genera metano, un potente gas serra. Senza bisogno di diventare vegetariani, basterebbe diminuire il consumo di proteine animali, limitando a uno-due giorni alla settimana un piatto a base di carne e negli altri giorni preferire alimenti vegetali. Le emissioni di CO2 derivano oltre che dal processo produttivo anche dai trasporti, quindi è opportuno cercare di scegliere prodotti stagionali e locali.
In generale, i prodotti freschi fuori stagione o esotici, come le fragole d’inverno, per la loro deperibilità possono viaggiare anche in aereo e quindi hanno un elevato tasso di emissioni per unità nutrizionale: in sostanza spostiamo a caro prezzo (monetario, ma soprattutto ambientale) prevalentemente dell’acqua colorata e profumata. Se invece acquistiamo prodotti secchi, come derivati dei cereali o legumi come fagioli o lenticchie, anche se arrivano da lontano, avranno richiesto meno energia, sia perché contengono poca acqua, sia perché in genere avranno viaggiato via nave, molto meno inquinante di un aereo, grazie anche all’importante carico che può trasportare un cargo navale, oltre 150.000 tonnellate!
E infine, anche l’imballaggio ci mette del suo ad aumentare il carico di emissioni e rifiuti, quindi se è possibile, acquistare confezioni semplici, di materiali ben differenziabili, oppure prodotti sfusi con poco imballaggio anche riutilizzabile, come si può fare nei mercati contadini. In sostanza, la scelta del nostro menù influenzerà il clima, ma una volta tanto, prima di essere obbligati da nuove normative, basterebbe il nostro buon senso a orientare il mercato e a dare effetti concreti.
Nel 2023 il mondo ha emesso 57 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (cioè che comprende anche altri gas, come il metano e gli ossidi di azoto, nonché le emissioni derivanti dalla deforestazione). Il sistema agroalimentare globale ne rappresenta circa il 30%, secondo quanto emerge dallo studio The environmental footprint of global food production di […]