Cos’è per lei il male? Può essere davvero tanto banale, perfino in casi estremi, come pensava Hannah Arendt? Oppure il discrimine tra il bene e il male è così sottile da far sì che il passaggio dai pensieri alle parole e da queste alle azioni, in presenza di certe condizioni e per determinati soggetti, possa essere addirittura repentino?
Il male è definito dal sentimento di appartenenza a una comunità (religiosa, politica, sessuale, ecc.) e dai limiti che impone per preservarne la coerenza. Esiste un male “universale”, condiviso dalla maggior parte delle comunità (non far del male a una persona vulnerabile, rispetta chi ti è vicino e così via), e un male specifico, interno a ogni singola comunità. Il “male”, nell’inconscio collettivo, penso sia fondamentalmente la scelta di un individuo di attaccare i valori sociali condivisi, ma anche di compiere scelte puramente egoistiche che mettono in discussione l’esistenza stessa del gruppo di appartenenza, cementato dall’istinto di sopravvivenza. Il male è ciò che, in un certo senso, distrugge i legami sociali.
Tutto iniziò con le foto della vittima del cannibale Sagawa. Vivo all’ombra della morte, non è un fatto sessuale: i miei gusti macabri rispettano la legge. Oggi sono un mostro diverso
Perché preferivo addentare i muscoli? Li mangiavo crudi nell’obitorio, poi ho cominciato a cucinarli. I miei non sono delitti omofobi. Il mostro di Milwaukee? Non è il mio modello
Oggi lei è lo stesso di un tempo, necrofilo e sadico al limite della psicosi (così la giudicarono gli psichiatri del tribunale), e con le identiche irrefrenabili pulsioni di allora?
Vivo ancora all’ombra della morte, avendo lavorato a lungo come assistente mortuario e pubblicando ora libri su argomenti macabri. Non si tratta di un’attrazione sessuale, contrariamente a quanto viene spacciato per vero su certi siti poco informati: coltivo questa mostruosità esistenziale perché definisce non solo la mia “persona” pubblica ma anche il mio carattere, il mio stile di vita e le mie preoccupazioni quotidiane. Ciò che mi rende diverso dal mostro che ero a vent’anni è la capacità di incastonare le mie inclinazioni macabre nel quadro di una vita rispettosa delle leggi. Mi impongo dei limiti.
La sua era una famiglia che potremmo definire “normale”?
Ho sempre pensato di aver vissuto un’infanzia relativamente normale, ma gli psichiatri che hanno esaminato il mio caso hanno ritenuto che non sia stata tale. Mia madre soffriva di gravi periodi di depressione, accompagnati da episodi di malinconia, e mio padre era spesso via per lavoro, in giro per il mondo. Non ho fratelli e sorelle e non avevo amici perché mi trasferivo troppo di frequente. Sono cresciuto in uno stato di profonda solitudine emotiva e sociale, ma pur non avendo all’apparenza sofferto di questa situazione, perché mi era impossibile fare paragoni, la mia mente si è evidentemente sviluppata in modi “diversi” rispetto a quelli di una persona normale.
Che cosa ricorda dei quattro anni trascorsi a Lisbona, dove ha vissuto parte della sua adolescenza?
Ero estremamente isolato a Lisbona, ed ero un emarginato nel college che frequentavo. È in quel periodo che ho sviluppato l’ossessione di uccidere i miei compagni di classe. Correvano gli anni Ottanta, molto prima che i “vampiri” diventassero un fenomeno di moda nella cultura goth.
Quando (e come) è nato tutto? Cosa sarebbe stato a scatenare la sua attrazione morbosa per la morte e per i cimiteri e la sua ossessione per il consumo di sangue e per gli atti di cannibalismo? Ha anche sostenuto che mescolasse quel sangue con le ceneri dei defunti e con proteine in polvere per addensarlo…
La cosa si è sviluppata gradualmente, ma sono stati decisivi due episodi. All’età di 12 anni, su una rivista per adulti, incappai nelle foto, scattate all’obitorio, della vittima del cannibale Issei Sagawa. Due anni prima mio nonno era stato fulminato da un ictus mentre giocavo a badminton con lui (mia madre mi aveva accusato di averlo ucciso) e io, dopo il suo funerale, da cui ero rimasto affascinato, iniziai ad andare nei cimiteri portoghesi. Sì, mescolavo con la cenere il sangue rubato dalla banca del sangue dell’ospedale, ma questo è successo molto più tardi, quando avevo 22 anni.
Quali sono stati (se ne ha avuti) i suoi modelli? E tra quei modelli c’era anche Jeffrey Dahmer, il “cannibale di Milwaukee”?
Dahmer fu arrestato quando avevo 19 anni, ma io già da tre andavo in cimiteri e catacombe a raccogliere ossa e due anni prima avevo tentato di strangolare il mio partner. Ho seguito con interesse la vicenda di Dahmer ma non mi ha fatto da modello. Le mie ossessioni sono nate prima.
Cosa pensa la differenzi da Dahmer? E anche lei, come lui, avrebbe ucciso nuovamente se non fosse stato fermato?
Diciamo che le mie fantasie erano diverse dalle sue. Sì, avrei commesso altri delitti se non fossi stato arrestato, l’avevo già pianificato. Non avendo potuto sperimentare certe cose in quell’omicidio e contavo di farlo in future occasioni.
Perché ha sostenuto di prediligere i mausolei per le profanazioni di cui ha raccontato? E cosa ha provato quella prima volta che avrebbe svitato e scoperchiato una tomba al cimitero gotico di Passy?
I mausolei sono più pratici, perché puoi chiuderti la porta dietro e stare dunque più tranquillo. C’era in me un’estrema agitazione, la mia vista e il mio udito erano molto più vigili rispetto ad altre situazioni. Intorno a me era tutto più intenso.
Ha detto più volte che da inserviente all’obitorio dell’ospedale di St. Joseph amava addentare i muscoli intercostali, tagliati a strisce, sottratti ai cadaveri che ricuciva dopo un’autopsia. Perché proprio i muscoli?
Erano di facile accesso durante l’autopsia. All’inizio li mangiavo crudi ma poi, quando ho capito che nessuno si sarebbe accorto di cosa stesse accadendo, ho cominciato a portarmeli a casa per cucinarli. Provavo una sensazione estremamente forte, come una scarica di cocaina. Tutto intorno a me diventava in quel momento più reale.
Quand’è che ha compreso, prima di uccidere Bissonnier, conosciuto su Minitel (era prima dell’avvento di Internet), che non sarebbe più potuto tornare indietro? L’ha ucciso per impulso, perché era un omosessuale o cosa?
Si è trattato di un’azione premeditata, non motivata dall’odio, ma dal desiderio di uccidere un essere umano come per una sorta di caccia all’uomo. Ho scelto di contattare Bissonnier su un forum sadomaso perché la mia ragazza era all’epoca una dominatrice professionista e selezionava in questo modo i suoi clienti. Ho finto di avere 16 anni con quell’uomo, sebbene ne avessi 22, perché pensavo che la polizia non avrebbe indagato sull’omicidio di un pedofilo. Il mio non è stato un delitto omofobo, l’orientamento sessuale della mia vittima non mi importava.
Non le è venuta la tentazione, dopo avergli sparato con la calibro 22 in pieno viso, di cibarsi anche di Thierry?
Sì. Volevo soprattutto ucciderlo, non appena avesse chiuso la porta, per potermi poi concentrare sulle mutilazioni post mortem inferte al suo corpo e sul resto. Volevo sezionarlo subito come facevo con i cadaveri all’obitorio, fino a reciderne gruppi muscolari più grandi (come i muscoli laterali). Non ho potuto farlo perché dopo gli spari ho sentito dei passi di corsa sulle scale dell’edificio. Ho preferito così abbandonare il campo.
La ritualità (come per l’altare di Dahmer) avrebbe potuto giocare un ruolo importante se avesse potuto commettere, dopo quel primo, altri omicidi?
Praticavo la spiritualità satanista, e possedevo anche un altare di ossa umane, e dunque sì: molto probabilmente, se avessi continuato, avrei rifornito quell’altare con altri resti umani.
Nel libro “Staring at Death: The Skulls”, uscito nel 2023, lei attesta un’altra ossessione: quella per i teschi, fotografati nelle cripte, negli ossari, nelle catacombe dei luoghi che ha visitato in tanti anni di viaggi. Sono per lei cimeli, feticci, trofei o cosa?
Adoro circondarmi di teschi perché emanano un’energia speciale che mi permette di essere produttivo come artista, autore ed editore.
Crede in Dio, o potrebbe in ogni caso definirsi una persona religiosa?
Credo che l’energia generata da tutti i credenti sulla Terra dia forma a un’entità spirituale (in magia la chiamiamo egregore) che a seconda della tradizione prende il nome di Dio, Yahveh o altro. Questa energia è una proiezione delle frustrazioni, dell’odio, dell’animosità che quei credenti provano verso chiunque sia diverso da loro. Nella sua essenza, per natura, l’entità divina di cui parliamo è puramente malvagia.
Che effetto le fa essere passato alla storia come il “vampiro di Parigi”?
Quando sarò morto chi approfondirà quel che ho fatto per più di vent’anni, dopo essere uscito dal carcere, si renderà conto della complessità di un percorso non riducibile a una carriera criminale, agli atti di barbarie che pure ho commesso. Per questo mi sto dedicando alla stesura di un’opera letteraria labirintica, il cui significato potrà essere compreso solo quando la mia vita verrà valutata nella sua interezza.
Come trascorre le sue giornate, fra pubblico e privato?
Sono iperattivo. Scrivo o pubblico in media due o tre libri al mese, dipingo due quadri a settimana e viaggio in tutto il mondo, partecipando a convegni, mostre e presentazioni di libri. Tra un evento e l’altro vivo però come un asociale e un eremita, al riparo dalle interazioni col mondo esterno. La mia è una vita atipica in cui sono il capo di me stesso e di tutti i miei programmi.
Si è mai immedesimato, in un rapporto sadomaso anche solo immaginato, nel ruolo di vittima anziché di carnefice?
Non ho mai avuto questa inclinazione, e pur avendo avuto rapporti di questo tipo non mi sono mai sentito parte integrante di gruppi praticanti il sadomaso. Una comunità di persone definita, come qualunque altra comunità umana, da precisi codici morali interni. Diversi dai miei.
Nicolas Claux è nato in Camerun, a Yaoundé, il 22 marzo 1972. In libertà vigilata dalla fine del 2000, ha finito di scontare la sua pena in anticipo (22 marzo 2002) per buona condotta. Oggi pubblica libri sul crimine (con la sua società, la Serial Pleasures) ed è anche pittore, saggista e scrittore.
Cos’è per lei il male? Può essere davvero tanto banale, perfino in casi estremi, come pensava Hannah Arendt? Oppure il discrimine tra il bene e il male è così sottile da far sì che il passaggio dai pensieri alle parole e da queste alle azioni, in presenza di certe condizioni e per determinati soggetti, possa […]