Né i vecchi cinquantini né i nuovi scooter elettrici: la meccanica umana demolisce sia i piccoli motori a scoppio che quelli che sprigionano watt. È proprio l’unità di misura della potenza che prende il nome dallo scozzese James Watt (che sviluppò la macchina a vapore…) a spiegare le velocità sviluppate dai professionisti di oggi (e anche di ieri). Dopo i folli anni ’90 nei quali la frontiera del doping si spostava sempre oltre le possibilità di rintracciarlo, negli ultimi anni le velocità delle tappe e dei gran tour (Giro, Tour, Vuelta) hanno superato i “vecchi” record, anche nelle frazioni di montagna. Spingere diverse centinaia di watt per ore ed ore è divenuta una costante. Eppure per un campione del mondo di ciclismo su pista sviluppare 700 watt per il tempo sufficiente ad abbrustolire del pane è un’impresa al limite dell’infarto (test condotto anni fa da un’università svedese). Pogacar & C. ormai corrono sul filo dei 50 km orari per intere tappe o salgono a 400 e passa watt di potenza per mezz’ore sui passi alpini o pirenaici, e senza quasi più cali di potenza, ovvero le “cotte” o crisi per fame di una volta.
È l’alimentazione ad assicurare tali riserve di energie che vengono poi scaricate a terra da mezzi ogni anno più performanti, filanti ma per questo sempre più rigidi e difficilmente “guidabili”: posizioni più schiacciate, freni più efficaci e gare in generale più esasperate hanno però portato a un sempre maggior numero di incidenti, cadute che a quelle velocità risultano spesso disastrose. Eppure lo spettacolo di queste macchine umane non è mai stato così avvincente, popolare, e ricco: una frontiera che nessuno vorrà far tornare indietro.
Né i vecchi cinquantini né i nuovi scooter elettrici: la meccanica umana demolisce sia i piccoli motori a scoppio che quelli che sprigionano watt. È proprio l’unità di misura della potenza che prende il nome dallo scozzese James Watt (che sviluppò la macchina a vapore…) a spiegare le velocità sviluppate dai professionisti di oggi (e […]