Nessuno ha dormito. Impossibile farlo nell’ultima, forse, notte mondiale di Leo Messi. La paura della fine, l’amore dei tifosi che hanno fatto migliaia di chilometri per arrivare a San Pietroburgo e stringersi intorno alla squadra: cantano per esorcizzare l’eliminazione, li senti ovunque e a qualsiasi ora, come i ricordi di troppi anniversari tutti insieme, il quarantennale del Mondiale del ‘78 (quello della coppa macchiata dal sangue della dittatura), e il 31º compleanno del campione, che ormai sembra quasi vecchio e magari non vincerà mai nulla con la sua albiceleste.
Non è solo la possibile uscita al primo turno a paralizzare l’Argentina, tenerla con fiato sospeso e batticuore: è successo una sola volta negli ultimi 50 anni ma ci sono già passati. Se la sfida alla Nigeria è diventata qualcosa in più che una semplice partita è perché Messi, icona di un Paese, reincarnazione di Maradona, il più forte calciatore contemporaneo (almeno così era considerato finora) potrebbe davvero chiudere stasera con la nazionale, da perdente. Lo aveva già fatto due anni fa, dopo l’ennesima sconfitta in finale di Coppa America: “Fa troppo male”, aveva detto per poi ripensarci. Stavolta probabilmente sarebbe la botta finale; in Qatar nel 2022 avrebbe 35 anni.
Tutto ruota intorno a lui, in un’attesa quasi “messianica”. Fin qui non si è visto: soprattutto in campo, nelle prime due partite, ed è quello il vero problema. Ma neppure fuori: sfila all’uscita dal pullman, testa bassa per non incrociare lo sguardo di migliaia di tifosi, occhi spenti. Neanche una parola, prima di barricarsi in hotel e nel silenzio di questi giorni. “Non è come Maradona”, ammettono i fan, finalmente se ne sono accorti. Scompare persino dalla conferenza stampa, dove viene nominato appena una volta di sfuggita. In sua assenza si presenta il ct Sampaoli, virtualmente esautorato dallo spogliatoio che avrebbe addirittura chiesto la sua cacciata alla Federazione. Lo dimostra che al suo fianco c’è Franco Armani, il portiere del River Plate silurato per far posto all’improponibile Caballero che con la sua papera è costato la sconfitta contro la Croazia. Tra i pali ci sarà lui: anche se Sampaoli prova a mantenere un minimo di autorità (“Non vi dico i titolari, non li ho comunicati nemmeno ai giocatori”) e ostenta ottimismo (“Il nostro Mondiale comincia oggi”) pare che la formazione l’abbiano già decisa i senatori.
Il momento è storico ma la vigilia è cupa, carica di ricorrenze speciali e non proprio felici. Domenica Messi ha festeggiato il compleanno più triste della sua carriera. Maradona gli ha fatto gli auguri (“Vorrei parlare con Leo, dirgli che non è colpevole di nulla, che lo adoro come sempre”), anche se probabilmente lui avrebbe preferito non riceverli, neanche sentire il nome che lo costringe da anni a un confronto insostenibile. “Sta male”, raccontano da dentro il ritiro: troppe pressioni, qualcuno parla anche di problemi personali in famiglia, con la moglie. Ovviamente giocherà comunque, per trascinare la squadra a un passo dal baratro, o viceversa.
Ieri, invece, è caduto il quarantennale della vittoria al Mundial ‘78, che per l’Argentina significa gioia e dolore, il trionfo in casa e l’orrore della dittatura che sfruttò il torneo per nascondere le torture del regime, i gol di Mario Kempes ma pure la vergogna della “Marmelada peruana” (il 6-0 contro il Perù, decisivo per la qualificazione e sempre sospettato di combine). Il quotidiano Clarín ha dedicato un lungo ricordo a quell’edizione del “genocida Vileda”, ai festeggiamenti del generale Agosti e dell’ammiraglio Masseri, mentre a poche centinaia di metri dallo stadio si sentivano le urla dei prigionieri. “La memoria non si cancella”. Oggi Messi e compagni vorrebbero dimenticarsi tutto, passato presente e futuro, per giocare solo una partita di calcio.