“Per gli stralli del sistema bilanciato numero 9 è stato possibile identificare con confidenza solo 4 modi globali e 2 di essi si presentano con deformata modale non del tutto conforme alle attese e certamente meritevole di approfondimenti teorico-sperimentali”. Si legge così a pagina 44 della relazione del Politecnico di Milano sul Ponte Morandi. È il passaggio decisivo, quello che sembra puntare il dito proprio sul pilone 9, crollato il 14 agosto. Lo studio, firmato da Carmelo Gentile e Antonello Ruccolo del Politecnico, era stato richiesto dalla concessionaria per conoscere le condizioni del ponte. Così, scrivono gli studiosi, “durante le notti a cavallo dei giorni 9-11 ottobre e 11-13 ottobre… vengono compiute analisi dinamiche sui piloni 9 e 10” (l’11 era già stato ristrutturato negli Anni 90). Indagini compiute “sia con le prescrizioni” tradizionali, “sia con le più recenti istruzioni internazionali”. In pratica per controllare lo stato di salute degli stralli (quelli che hanno poi ceduto) vengono identificati i “modi di vibrare”. Ecco le conclusioni: “A frequenze proprie pressocché uguali dei due sistemi bilanciati corrispondono deformate modali differenti… Tale mancanza di simmetria… è certamente da ascriversi a differenze nelle caratteristiche meccaniche e nell’azione di tiro degli stralli”. E qui un altro passaggio chiave: “In particolare, appare probabile a chi scrive che le differenze osservate siano riconducibili a una differente pre-sollecitazione residua dei tiranti” generata “ad esempio da possibili fenomeni di corrosione dei cavi secondari, da difetti di iniezione, ecc…”.
Il pilone 10 non pare suscitare allarmi: “I modi locali” identificati “presentano forma piuttosto regolare e conforme alle attese”. Per questo i due studiosi del Politecnico concludono: “I due sistemi… esibiscono un comportamento abbastanza simile… tuttavia, l’esame delle caratteristiche dei modi globali evidenzia differenze nel comportamento dinamico dei due sistemi bilanciati, espresse da valori delle frequenze proprie corrispondenti che differiscono anche più del 10 per cento nonché da apprezzabili differenze tra le deformate modali corrispondenti”. L’esame risale all’ottobre 2017. “Il risultato non è certo catastrofico, ma ci ha spinto ad agire subito per doverosa cautela”, dice un dirigente di Autostrade. Nell’aprile 2018 la società pubblica il bando di gara per l’affidamento dei lavori per la risistemazione dei piloni 9 e 10. La spesa prevista era di 20 milioni.
Lo studio del Politecnico sarà adesso parte della documentazione acquisita dalla Procura. Insieme con un recentissimo report che una società che si occupa di collaudi strutturali (Cesi) ha inviato ad Autostrade. Risale al 15 agosto (il giorno dopo il disastro), ma riguarda un periodo precedente, cioè tra fine 2015 a inizio 2016: “Lo scopo delle nostre attività era fornire dati sperimentali che sarebbero serviti a Spea per calibrare il modello sul quale progettare i retrofitting delle pile 9 e 10”.
Si conclude: “Il ponte ha mantenuto pressoché invariata la sua risposta dinamica nel tempo, nonostante la vetustà della struttura, il variare delle condizioni di traffico, la particolare esposizione ambientale e la severa esposizione al rischio idrogeologico… a nostro avviso le attività di gestione e sorveglianza del ponte sono state adeguate e svolte con la dovuta diligenza. Riteniamo piuttosto che le cause di quanto tragicamente occorso siano da rintracciarsi nel vizio progettuale originario”.
La procura di Genova ha acquisito il video del momento del crollo, ripreso dalla telecamera all’uscita della galleria a Ponente. Si vede transitare il camion della Basko – quello rimasto appeso sul baratro – poi un primo scossone. Quindi un secondo colpo che interrompe il collegamento. Sarà quindi inutile per ricostruire il disastro. I pm, però, contano di reperire altre immagini dai sistemi di videosorveglianza di imprese e case della zona. Ma anche ricorrendo ai cittadini.
Oggi saranno nominati i periti della Procura. Ma intanto si stanno acquisendo studi universitari degli anni passati che analizzavano lo stato di salute del ponte: “Il sistema – ha scritto Giovanna Franco dell’Università di Genova – non era esente da problemi. Già nei primi Anni 70 lo stesso Morandi verificò il manifestarsi dei primi difetti dovuti probabilmente anche alla particolare aggressività dell’ambiente esterno (per la presenza di aerosol marino e di inquinanti gassosi industriali).
A partire dagli Anni 80 il ponte è stato oggetto di interventi di consolidamento, i più significativi dei quali sono quelli intrapresi nel 1993 sugli stralli della pila 11. Analogamente a quanto già era stato realizzato sul resto della struttura, infatti, anche nella pila 11 era stato programmato un intervento di parziale integrazione e di protezione del calcestruzzo, ma alcune verifiche preliminari avevano messo in luce una situazione ben più preoccupante”. È quanto ricostruisce al Fatto l’ingegner Gabriele Camomilla che in quegli anni era direttore della Ricerca e della Manutenzione per Autostrade: “Facevamo ispezioni accuratissime. Appesi sui piloni alti novanta metri. Durante uno di questi controlli scoprimmo che sull’ultima porzione di uno strallo, in cima alla struttura del numero 11, il cemento aveva lasciato scoperta una porzione d’acciaio”. Si era prodotta una variazione della tensione del 30% circa. “In pochi giorni avviammo l’interevento”. E gli altri piloni? “All’epoca erano perfettamente integri”.