“Camin vattin, trmon”. La sentenza del vernacolo, ripetuta centinaia di volte sui social network, è più netta di ogni possibile traduzione: a Bari non amano più Antonio Cassano. Il reuccio è diventato reietto. Quella che era solo una sensazione maturata nel tempo, è diventata realtà nel giro di 48 ore. Colpa, si fa per dire, dell’iniziativa del Corriere del Mezzogiorno, che a inizio settimana ha lanciato un appello sulle colonne dell’edizione barese: organizzare allo stadio San Nicola la partita di addio al calcio di Fantantonio. L’idea, al netto di un particolare non di poco conto (Cassano non ha mai annunciato di voler smettere), è arrivata dopo un’intervista rilasciata dal talento di Bari vecchia a Canal Plus. A fare le domande il suo ex collega romanista Olivier Dacourt, Ma part d’ombre il titolo del programma.
E l’ombra di cui ha parlato Cassano, come sempre mai banale, aveva i contorni della cattedrale di San Nicola e dei palazzi che si affacciavano sui vicoli di un’infanzia complicata, troppo complicata. Che finisce con un capolavoro che ha cambiato la sua vita. 18 dicembre 1999, stadio San Nicola, Bari-Inter, 1-1 il parziale: lancio lungo dalla difesa biancorossa, stop a seguire di tacco, palla avanti di testa senza toccare terra, dribbling, finta di corpo, gol. Una meraviglia.
Cassano aveva 17 anni: in tasca l’amore incondizionato di una città intera, che un po’ si rivedeva nella sfrontatezza di quel ragazzino in cerca di riscatto; di fronte a sé una carriera di cui non si potevano calcolare le vette per quanto alto era il talento. Oggi che quel ricordo è diventato maggiorenne, Cassano rappresenta il più grande rimpianto del calcio italiano. Ma ai baresi coppe e trofei non interessano. Il tifoso è così: la bacheca non conta. Vuole un segno, una prova d’amore, il sintomo dell’attaccamento al bianco e al rosso. Che non c’è mai stato, se non con frasi e manifestazioni di circostanza.
Perché la realtà non è quella sperata dai tifosi, perché a volte le favole con lieto fine hanno più zucchero che sapore. E quindi: Cassano tifoso dell’Inter, Cassano che ama Genova e Parma, Cassano che sceglie la famiglia e decide di non tornare a vestire la maglia della sua città per provare a riportarla in Serie A. Onte. E chissenefrega se le scelte dell’uomo sono più importanti di quelle del calciatore. E pazienza se nella testa (già complicata) di Cassano l’allontanarsi da quei vicoli significava riscatto, e che tornare magari voleva dire rivivere certe sensazioni e rivedere certi fantasmi. Nessuna comprensione: i baresi sognavano di vedere Cassano alla Zola, tornato a Cagliari dopo aver deliziato l’Europa. Non hanno digerito il diniego e se la sono segnata al dito. E quando mercoledì scorso l’assessore comunale allo Sport Pietro Petruzzelli, sempre sulle colonne del Cormez, ha deciso di raccogliere l’appello del giornale e di mettersi a disposizione per organizzare l’evento, sui social è partita l’indignazione.
Fenomeno virale per un sentimento reale, covato nel tempo. “Trmon, camin vattin”. Sui forum dedicati e sui siti di informazione centinaia (se non migliaia) di commenti a senso unico, senza sconti. Guai a esprimere un parere contrario a quello della pancia barese, che quando decide di non esprimersi in dialetto rende i concetti ancora più taglienti: “Una bella iniziativa per una persona che non la merita”, “indegno”, “ingrato”, “disertiamo lo stadio”, “la facesse a Genova o a Parma la partita d’addio”. E poi ancora quel “trmon”, declinato in tutte le possibili sfaccettature (“trmon a vind” la più gettonata). Nel bailamme di reazioni, l’unico che non ha detto nulla è stato proprio Cassano, anche in questo novello Godot. E così la bella idea di un giornale rischia di finire come la carriera calcistica dell’invitato d’onore: un’occasione mancata.