Capita così di rado di dare ragione a un ministro che, quando accade, c’è da festeggiare. Il ministro è quello dell’Interno Marco Minniti, che ha deciso finalmente di mettere un po’ d’ordine nel Mar West del Mediterraneo, dove finora tutti, i buoni e i cattivi, facevano un po’ quel che pareva a loro. Premettiamo la solita ovvietà, a scanso di equivoci e di furbastri: chiunque salvi anche un solo migrante, fosse pure Belzebù, merita tutto il plauso e la gratitudine del mondo. Ma, siccome le navi delle Ong partono e/o approdano in acque italiane, è giusto che rispettino le regole dello Stato italiano.
Regole ora fissate in 11 punti dal nostro governo e approvate dai ministri dell’Interno Ue nel vertice di Tallinn, dalla Commissione europea e da Frontex. Cinque sono divieti: di sconfinare nelle acque libiche per prelevare i migranti dai barconi dei trafficanti (salvo nei casi di “evidente pericolo di vita”); di trasbordare i migranti da una nave all’altra; di comunicare telefonicamente con gli scafisti; di spegnere il transponder o inviare segnali luminosi “per agevolare partenze”; di “ostacolare le operazioni di search & rescue della Guardia costiera libica”. E sei sono obblighi: completare l’operazione di salvataggio portando direttamente i migranti in un porto sicuro (purtroppo, stanti gli accordi e i trattati Ue, sempre e solo porti italiani); “accogliere a bordo ufficiali di polizia giudiziaria per indagini collegate al traffico di esseri umani”; “dichiarare le fonti di finanziamento”; notificare gl’interventi al centro di coordinamento marittimo del proprio Stato; possedere una certificazione di idoneità tecnica alle attività di salvataggio; collaborare con le autorità di Ps della località di sbarco.
La gran parte del Codice di comportamento nasce dai suggerimenti avanzati dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro nelle audizioni parlamentari, che tante critiche si attirò da chi non capiva nulla o capiva fin troppo. Bravo Minniti a farne tesoro: norme di buonsenso, il minimo sindacale per chi svolge un compito meritorio, ma delicato come i salvataggi di migliaia di esseri umani. Norme che chi non ha nulla da nascondere non dovrebbe avere alcun problema a sottoscrivere e a rispettare. Invece, incredibilmente, solo tre Ong operative le hanno accettate (Save The Children, Moas e Proactiva Open Arms), mentre tutte le altre le han respinte (Medici senza frontiere e Jugend Retted) o non si sono neppure presentate al tavolo (Boat Refugee, Life Boat, Seawatch, Sos Mediterranée, Sea Eye). Chi ha detto no, mettendosi automaticamente fuorilegge, contesta due punti.
E cioè: la presenza di poliziotti e il divieto di trasbordo da una nave all’altra. Due prescrizioni fondamentali per stroncare il traffico di esseri umani, tracciarne i percorsi, individuare gli scafisti e scoraggiarne l’attività. Gabriele Eminente, dg di Msf, ha sorprendentemente contestato il fatto che la polizia sia armata. Peccato che la legge imponga che gli agenti di polizia giudiziaria portino le armi. Il che ovviamente non significa che si mettano a sparacchiare all’impazzata: se sono lì per verificare la legalità delle operazioni e perseguire i crimini contro o fra i migranti, possono incontrare resistenze fra scafisti camuffati da profughi (accade spesso) o tra loro complici e fiancheggiatori: dunque devono avere i mezzi necessari per garantire la sicurezza a loro stessi, ai migranti e ai volontari delle Ong. Ma questa curiosa allergia alle armi delle forze dell’ordine (come se non ci fossero guardie armate anche a presidio degli ospedali) sa tanto di pretesto. Infatti il dg di Msf aggiunge: “Non possiamo far parte di un sistema che non sia solo di ricerca e soccorso, ma preveda indagini o altre ambiguità… L’impegno che gli operatori umanitari raccolgano prove utili alle indagini viola i nostri principi di indipendenza e imparzialità”. In che senso le indagini sarebbero “ambiguità” e violerebbero il dovere dei medici di salvare vite? Come si può essere indipendenti dalla legge e imparziali tra guardie e ladri? E perché mai i medici d’ospedale accettano l’obbligo di segnalare tutti i ricoveri di persone ferite o picchiate o investite alle questure perché le forze dell’ordine interroghino subito le vittime per scovarne gli aggressori, e poi rifiutano regole analoghe sulle loro navi? Chi subisce sfruttamenti, pestaggi, violenze, ricatti, rapine, stupri in mare non ha forse gli stessi diritti delle vittime a terra? E allora che problema c’è se le indagini iniziano già a bordo delle navi, quando è più facile mettere le mani sugli autori di quegli odiosi reati?
Chi rifiuta il Codice autorizza il sospetto – spesso, ma non sempre infondato– di avere qualcosa da nascondere. Per esempio i rapporti opachi con gli scafisti ormai abituati a delegare alle Ong dentro o ai limiti delle acque libiche il grosso dei viaggi, così da risparmiare sulle proprie imbarcazioni (sempre più pericolanti e pericolose), non uscire più dal “confine” marittimo, rendersi inafferrabili e impunibili. Un andazzo che nessuno Stato serio può più tollerare, soprattutto se si sobbarca quasi il 100% degli sbarchi. L’ha detto Regina Catrambone, fondatrice di Moas, che ha subito firmato il Codice: “Molte cose ora vietate – come spegnere i transponder – non le abbiamo mai fatte. Nulla contro gli agenti a bordo, se ciò può aiutare le indagini contro i trafficanti”. Idem il dg di Save The Children, Valerio Neri: “La polizia giudiziaria non è un problema in quanto l’Italia è un paese democratico: non abbiamo nulla da nascondere”.
Ora si spera che il governo sia conseguente e vieti a chi si è messo fuorilegge la navigazione in acque italiane. Ne va della legalità, dell’equità, ma soprattutto della cosa che più manca all’Italia: la serietà.