Non sappiamo come andrà a finire, dubitiamo che possa essere “la settimana decisiva”, ma indubbiamente tra oggi e domani il Quirinale darà (o dovrebbe dare) un segnale per fare capire in quale direzione si andrà (o non si andrà) per dare (o non dare) un governo all’Italia a quasi 50 giorni dal voto del 4 marzo. Di un simile disgustoso, illeggibile incipit inzeppato di se, forse, chissà, può darsi, l’autore di questo Diario molto si duole augurandosi che il direttore di codesto giornale lo sollevi da un incarico superiore alle sue (mie) forze. In attesa degli eventi vorremmo lasciare ai lettori superstiti una breve galleria degli errori (e orrori). A nostra parziale discolpa.
Matteo Salvini. Ecco un uomo felice. L’istantanea che ne coglie il ghigno brillo al Vinitaly mentre brinda con l’altrettanto gioiosa presidente del Senato Casellati (vedi più avanti) rende l’idea di un uomo in pace con se stesso a cui tutto va bene anche se dovesse andare male. Si gode la rendita di posizione di chi ha saputo fare due passi indietro per mandare a sbattere chi si sporge avanti (prego Cavaliere, si accomodi). “Adesso sono altri che devono muoversi” dice pregustando l’inevitabile casino generato da esploratori, pontieri, traghettatori, governi di scopo e di scopone, di larghe intese e strette vie. Nel frattempo, confida, il cospicuo tesoretto elettorale leghista produrrà nuovi dividendi. Virtù è stare fermi nella palude (Zarathustra). E ricevere in omaggio il Tg1. Per essere invocati, adulati, serviti non occorrono grandi meriti. Basta mettere nelle vele lo spirito del tempo. Un solo grande rischio: che alla fine Mattarella l’incarico lo dia a lui.
Luigi Di Maio. A Vinitaly (la nuova Città del Sole) afferra il calice con un mezzo sorriso perplesso. C’è qualcosa che gli sfugge (e ci sfugge). Forse è astemio. Forse è l’attimo sparito di una maggioranza che sembrava fatta – Palazzo Chigi a un passo – fino a quando il “male assoluto” non ha bucato puff il palloncino. E poi, diamine, era proprio necessario chiamare il possibile alleato Salvini “Dudù” come il barboncino? Tutto copy Di Battista (ma quando se ne va nelle Americhe?). In agguato, la legge di Murphy (se qualcosa può andare male andrà male): l’eventuale incarico a Roberto Fico. Dagli amici mi guardi Iddio.
Silvio Berlusconi. Intercettato (nel senso buono) mentre tra un inciampo e un sonnellino batte il Molise palmo a palmo. Lui che accoglieva i grandi della terra oggi rimpiange “lo spirito di Pratica di Mare”. Con lo spirito di Campobasso spera di dare una piallata al fidanzato della Isoardi. E poi si vedrà. Dagli amici lo guardi Iddio.
Matteo Renzi. Come Michelangelo il Corriere della Sera gli dà una martellata: perché non parla? Un silenzio che non pesa (nel Pd di sicuro) ma pregno di congetture. Aspetta che i ragazzi Luigi e Matteo si brucino a puntino? Quindi tornare in pista con lo “spirito” di Berlusconi per un governo istituzionale? Lavora a un nuovo partito? Boh. Non è Mosè, ma un leader disperso che forse non sa più cosa dire.
Giorgia Meloni. Lei tace ma non acconsente. Se aprisse bocca ne sentiremmo delle belle sulle baruffe dei maschietti alfa Silvio e Matteo che mandano tutto a puttane (non solo nel senso di Silvio). Non è affatto strano che nel centrodestra nessuno la candidi per l’incarico. Potrebbe farcela.
Casellati. Non disdegnerebbe, dice, un possibile incarico di “esploratrice”. Gli crediamo senza problemi. Con quattro tra nomi e cognomi, berlusconiana al cubo (tendenza nipote di Mubarak), una che sfida la poveraccite politica di chi va a piedi o in bus. E si fa scarrozzare trionfante con scorte, lampeggianti e in gondola da parada. Una che potrebbe servire a Mattarella come ultimo avvertimento ai due giovanotti perché la piantino di giocare ai veti incrociati. La restaurazione dopo la rivoluzione. Un po’ come se dopo la ghigliottina Maria Antonietta tornasse a Versailles. Stessa permanente ma senza brioche.