Per ora è un brodo primordiale, a metà tra il pantheon e il corridoio di un ministero. Disseminato di totem e di suggeritori. Ma tra qualche mese la folla di nomi e sigle che ruota attorno al M5s potrebbe tramutarsi in classe dirigente. Per il Movimento, e per l’inevitabile candidato premier Luigi Di Maio, che lavora a un governo fatto quasi interamente di eletti e big, con l’eccezione di due o tre caselle. Con i tecnici che sarebbero i sottosegretari, i capi di gabinetto e i dirigenti. Perché è la politica che deve prevalere, secondo il Di Maio che ieri ha ribadito: “Io candidato per Palazzo Chigi? Ho sempre detto di essere disponibile”. Sillabe scandite in un convegno in Vaticano sulla sostenibilità, con dirigenti di Opel ed Enel.
M come ministeri. Il lavoro di verifica e intelligence è iniziato mesi fa, diviso per commissioni. Ma nelle ultime settimane i parlamentari del M5s hanno accelerato, con incontri periodici con dirigenti e funzionari dei vari ministeri. Organizzati per capire di chi fidarsi e chi invece temere. E quindi, anche per scovare capi di gabinetto e staff per i futuri ministri.
E come economia. Nel mare magnum dei conti, i 5 Stelle si affidano da anni a veterani. Come Elio Lannutti, presidente dell’Adusbef, già senatore dell’Idv, amico e consulente di vecchia data di Beppe Grillo. I deputati della commissione Finanze lo consultano sui provvedimenti, ma anche come sherpa in ambienti economici. Ed è grazie a lui che hanno conosciuto Marcello Minenna, economista con laurea alla Bocconi, dirigente della Consob. Dopo il via libera di Di Maio, l’anno scorso si convinse a fare il super-assessore al Bilancio e alle Partecipate a Roma per Virginia Raggi. Ma nel giro di poche settimane fu scontro durissimo con la sindaca e i suoi (Raffaele Marra su tutti) e a settembre Minenna mollò. Ma non è scomparso dai radar. Il blog ha ospitato suoi interventi, e lo si è visto al convegno organizzato sul “futuro” da Casaleggio a Ivrea, lo scorso aprile. Minenna potrebbe rientrare in gioco, ma non da ministro, “perché non è gestibile”, sussurrano. Però “potrebbe essere un capo per la Consob”. È invece un riferimento Giovanni Dosi, direttore dell’Istituto di Economia alla Sant’Anna di Pisa, che pochi giorni fa sul Fatto ha difeso il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle, sollecitandoli anche a finanziarlo con l’abolizione degli 80 euro (un’accelerazione che ha spiazzato il M5s). Dieci giorni fa Dosi era uno degli ospiti di punta al convegno dei 5 Stelle alla Camera sullo “Stato innovatore”. E c’era anche Mariana Mazzucato, economista dell’University College di Londra. Stimata, ma non quotata per posti di governo. È invece in gioco Leonardo Becchetti, docente di Economia politica all’Università di Tor Vergata a Roma, cattolico, consulente dei deputati della Finanze. Molto considerato per i suoi studi sul rapporto tra Fisco e ambiente. Ma il ministro dell’Economia? È l’unico ruolo per cui il M5s sceglierà sicuramente un tecnico. Ma il nome ancora non c’è. Mentre invece ci sono già i parlamentari accreditati come sottosegretari o vice: dai deputati Laura Castelli e Giorgio Sorial, fino alla senatrice Barbara Lezzi.
L come Lavoro. La guida nel settore è il sociologo Domenico De Masi, a cui i deputati della commissione Lavoro Tiziano Ciprini e Claudio Cominardi, mesi fa, chiesero una ricerca, che poi lo stesso De Masi illustrò a Grillo. De Masi non ha velleità di governo. Ma ha presentato al M5s tanti esperti del settore, organizzando di fatto il primo dei grandi convegni del Movimento alla Camera, Lavoro 2025. Un consulente di fiducia è sicuramente Pasquale Tridico, professore associato all’Università di Roma Tre. “Uno con la nostra stessa visione delle cose”, riassume un parlamentare. Poi c’è il capitolo ministro. E qui si oscilla tra nome tecnico e politico. La deputata Roberta Lombardi, stimata da Casaleggio, è un’opzione, come la senatrice Nunzia Catalfo. Altrimenti si punterà su un giuslavorista. Con una suggestione sullo sfondo, chiamata Tito Boeri. Perché il presidente dell’Inps è stimato dal M5s per le sue battaglie a vitalizi e pensioni d’oro. E sarebbe un nome di ovvio impatto.
G come giustizia. Oggi pomeriggio il M5s tornerà a guardare negli occhi una selva di giudici, ovviamente in un convegno, e ovviamente alla Camera. A “Questione e visioni di giustizia – Prospettive di riforma” interverranno magistrati come Raffaele Cantone, Piercamillo Davigo, Antonino Di Matteo e Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte costituzionale. A conferma del rapporto stretto con giudici come Davigo, che a marzo è apparso in un video sul blog di Grillo, nel quale il senatore Nicola Morra lo intervistava sul sistema della corruzione. Abbastanza per provocare congetture su una sua candidatura a premier. Fantascienza. Davigo, assicurano dal M5s, non vuole incarichi di governo. Ma è ascoltatissimo dal Movimento. Il sogno per il ministero della Giustizia rimane un altro, Di Matteo: forse il nome principale del pantheon a 5 Stelle, il terzo più votato per il Quirinale dagli iscritti nel 2015. Però convincerlo pare impossibile. Come pare complicata l’ipotesi di Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Messina, già al convegno di Ivrea. Un altro molto ascoltato, soprattutto ai piani alti. “D’altronde un magistrato in quel ruolo sarebbe un rischio” ammettono. E così il più papabile resta Alfonso Bonafede: avvocato, vicepresidente della commissione Giustizia, fedelissimo di Di Maio.
1 – continua