Chat e email cancellate. Ma recuperate dagli esperti informatici della Guardia di Finanza. Da qui potrebbe arrivare una svolta alle indagini sulla tragedia del ponte: dai messaggi scambiati tra dipendenti di Autostrade, Spea (società controllata che si occupa di controlli) e ministero delle Infrastrutture.
Nei giorni immediatamente successivi alla tragedia gli uomini del primo gruppo della Finanza di Genova avevano sequestrato cellulari e computer di una quindicina di persone, anche non indagate. La speranza era di trovare sms, chat whatsapp e mail che parlassero del ponte. Un lavoro enorme, perché parliamo di 13 terabyte di file sequestrati. Nelle settimane successive gli investigatori hanno calato le reti a strascico sperando che qualcosa restasse impigliato. Sono state utilizzate parole chiave: “ponte”, “pericolo”, “sicurezza”, “criticità”. E sono stati cercati tutti i file cancellati. Grazie a sofisticati software chiamati di ‘captazione’, i computer degli investigatori hanno fatto un bel raccolto: dai cellulari di alcuni dipendenti sono riemerse chat whatsapp e mail cancellate. Chi ha premuto il tasto ‘elimina’ non sapeva che i messaggi lasciano un segno nella memoria. E possono essere recuperati. Si tratta, a un primo esame, di messaggi di lavoro. Ma sono emerse anche chat amorose. Cancellate per timore che l’inchiesta rivelasse relazioni galeotte.
Il lavoro dei pm intanto va avanti. E la lista degli indagati si allunga. Ai diciannove iscritti all’inizio di settembre se ne sono aggiunti due. Entrambi dirigenti del ministero delle Infrastrutture dove si occupavano di vigilanza: il primo è Bruno Santoro, sentito sabato dai pm. Il secondo è il funzionario della quarta divisione – vigilanza – che ricevette il progetto di refitting cui doveva essere sottoposto il ponte.
Stamattina intanto i periti incaricati dal gip si ritroveranno al Morandi per compiere le prime analisi di quel che resta del ponte e delle macerie. Avranno due mesi di tempo per presentare le loro conclusioni.
Il primo incidente probatorio ha lo scopo di ‘congelare’ lo stato dei luoghi. Cioè di ricostruire esattamente quanto è rimasto dopo il crollo. Sono gli accertamenti irripetibili previsti dal codice e non più eseguibili dopo la demolizione. Così poi potranno cominciare i lavori. Anche se, come ha fatto notare la Procura, le indagini non sono un ostacolo alla ricostruzione perché i periti hanno avuto un chiaro mandato: “Devono essere concordate modalità di demolizione idonee a salvaguardare le prove”. Non solo: “Per l’incidente probatorio potrebbe essere utile avere alcune parti di ponte già demolite da analizzare. Anche per evitare che i periti rischino la propria incolumità”.
Non sono state le indagini a provocare il ritardo nella ricostruzione. A quasi due mesi dal disastro non si sa ancora chi e come effettuerà la demolizione. Così come nulla è stato deciso sul progetto del nuovo ponte. La scelta del commissario, Claudio Andrea Gemme, dovrebbe accelerare i lavori. A dicembre, poi, si svolgerà un secondo incidente probatorio, mirato sull’individuazione delle responsabilità nel crollo.
Intanto non manca chi si cimenta nel fornire consigli sulla ricostruzione. L’ultimo in ordine di tempo è stato Flavio Briatore, giunto ieri in Procura per essere sentito come indagato in un’inchiesta su un presunto caso di corruzione legato alla confisca del suo yacht Force Blue. L’imprenditore non ha mancato di dire la sua sul ponte, sposando la causa di Autostrade: “Tragedia enorme. Genova per ripartire avrebbe bisogno di ricostruire subito ed eliminare le burocrazie. È incredibile che dopo un mese e mezzo non ci sia nulla. Era normale che Autostrade ricostruisse il Ponte, ma al governo non abbiamo grandi geni”, Briatore dixit.