L’ultimo “padrino” di Cosa nostra è Stefano Fidanzati: erede del super boss dell’Arenella-Acquasanta Gaetano (morto nel 2013 a 78 anni), a Palermo oggi ha il “rispetto” sia dell’aristocrazia mafiosa cittadina sia degli “uomini d’onore” sostenitori della continuità “corleonese” al vertice di una rinnovata Cupola che, orfana del capo dei capi Totò Riina, non trova unità d’azione e strategia ormai da troppo tempo.
La commissione regionale, una sorta di parlamento di Cosa nostra, non si riunisce dall’arresto di Riina: 15 gennaio 1993. Finché il capo dei capi è rimasto in vita il problema non si è neppure posto. Adesso qualche “contatto”, invece, è ripartito: come rivelato dall’ordinanza dell’inchiesta “Mandamento della Montagna” – che ha duramente colpito i clan agrigentini a inizio 2018 – sono stati ricostruiti “frequenti e stretti rapporti tra esponenti mafiosi della provincia di Agrigento e i componenti di famiglie mafiose operanti in altri territori tra cui Palermo, Caltanissetta, Enna, Trapani, Catania e Ragusa, confermando ancora una volta la struttura unitaria della organizzazione mafiosa Cosa nostra”. Preludio alla rinascita. Ed è in questo contesto che a Palermo il nome di Stefano Fidanzati viene pronunciato a mezza bocca, con timore e anche malcelata ammirazione tra le strade dell’Arenella che guardano al mare, come via Vincenzo de’ Paoli, sotto il palazzo dove il “compianto” Gaetano ha tenuto la sua residenza.
È libero, e passeggia per quelle stesse strade dal 23 gennaio scorso dopo aver scontato un anno e quattro mesi per estorsione, Stefano, il più rampante dei quattro fratelli del fu Gaetano; nel curriculum ha esperienze di narcotraffico, non è giovane, ha 70 anni, ma può vantare la capacità di stringere accordi anche con i boss di San Giuseppe Jato, il mandamento un tempo retto da Giovanni Brusca, u verru (“il porco”), uno degli uomini più feroci nel gruppo degli stragisti che sferrò l’attacco allo Stato negli anni Novanta, responsabile dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo: sciolto nell’acido. Matteo Messina Denaro, erede del mandamento di Castelvetrano, latitante dal 1993, mantiene accesi i riflettori su di sè con il “fascino” di chi non si fa prendere ma è lontano dai “business” più importanti di Palermo per poter ambire veramente al ruolo di capo dei capi. Così Stefano Fidanzati, in silenzio, cercando di farsi notare il meno possibile, sta costruendo mattone su mattone la sua scalata al vertice della piovra siciliana.
Si porta dietro, Fidanzati, il prestigio mafioso di un nome che ha piena cittadinanza nell’aristocrazia criminale palermitana, ma che non ha fatto parte di una famiglia sconfitta dai Corleonesi, perché il fratello Gaetano con gli uomini di Riina e Provenzano è sceso a patti e ha fatto affari. Era roba sua, ad esempio, la piazza milanese: furono i Fidanzati – come riportato anche in numerosi dossier della Dea americana – a seppellire la capitale morale d’Italia, Milano, sotto una coltre inesauribile di cocaina. E proprio a Milano, non in Sicilia, Gaetano Fidanzati fu arrestato il 5 dicembre 2009. Si porta appresso, Stefano Fidanzati, come medaglie, le “imprese” dell’amato fratello maggiore Gaetano, come la condanna nel mitico maxi-processo, una latitanza in Argentina, dove fu arrestato e dove andò a interrogarlo Giovanni Falcone che si sentì rispondere: “Dottore, io sono un perseguitato politico”.
Insieme, i due fratelli Fidanzati, sono stati artefici dell’ultima “fatica” che è costata il carcere a Stefano. C’era da ristrutturare il porticciolo dell’Arenella all’inizio degli anni Duemila e Gaetano, da latitante, gestisce e dirige alla luce del sole accordi e impegni per imporre le ditte gradite. Aggancia così l’imprenditore, titolare di un’azienda di rimessaggio, che denuncerà tutto, anche grazie ad Addiopizzo, e poi racconterà al processo per estorsione: “Il primo contatto lo ebbi con suo fratello, Stefano Fidanzati, che subito dopo l’acquisto (del porticciolo, ndr) veniva ogni giorno a chiedermi se avevo bisogno di operai e se potevo dargli un aiuto per le famiglie dei carcerati. Gli risposi che non avevo un euro, che avevo investito tutto nell’acquisto e nella ristrutturazione”. Era il 2002. Passa poco tempo e Stefano Fidanzati ricompare al cospetto del bersaglio: “Avevo chiesto i preventivi a due ditte per scavare il fondale del porto, per renderlo idoneo all’attracco delle barche. Ma Stefano Fidanzati intervenne e mi propose di rivolgermi alla Epidan Costruzioni di Daniele Aiello. Non avevo altra scelta”.
Una scelta che poi costa alla vittima una condanna per disastro ambientale: “Un custode mi avvertì – ha raccontato sempre in aula di tribunale – che i camion della Edipan invece di scaricare in mare i grossi massi che servivano alla realizzazione della nuova banchina, sversavano in mare materiale di risulta dei cantieri. Quando me ne sono accorto ho interrotto i rapporti con la Edipan immediatamente, ma sempre i Fidanzati mi hanno imposto una seconda ditta, la cooperativa Dian gestita da Sergio Russo, che poi ho scoperto essere riconducibile ai fratelli Aiello”. Anche le assunzioni dell’imprenditore, fino al 2008 e alla denuncia, erano “raccomandate”: “Non avevo scelta, Stefano Fidanzati veniva continuamente e sapevo che era il mafioso della zona: dovevo fare quello che diceva lui”.
Oggi all’Arenella, e nel resto di Palermo, tutti per strada sanno chi è Stefano Fidanzati, dalle “vedette” tra i vicoli di Ballarò ai picciotti al “lavoro” in periferia, tra i palazzoni dello Zen. Quando passa il boss qui lo riconoscono e lo rispettano. Ma non c’è traccia d’immagini del suo volto né nel mare magnum di Internet, di solito miniera d’oro di foto segnaletiche dei delinquenti arrestati almeno una volta, né negli archivi delle agenzie giornalistiche né sulle pagine ingiallite dei quotidiani siciliani. Quello che c’è è solo la leggenda criminale del fratello di cui porta il cognome, ancora una volta Gaetano, immortalato il 5 dicembre 2009 durante l’arresto a Milano: le mani a protezione del viso mentre sale sull’auto che lo porterà dalla Questura al carcere di San Vittore, occhiali con montatura leggera, giacca di pelle marrone scuro e camicia blu, sguardo serio e volto teso, pochi capelli bianchi. Un poliziotto fuori servizio lo ha riconosciuto per strada poche ore prima arrestandolo insieme al cognato Turi Cangelosi in via Marghera, non lontano dalla fermata della metropolitana Wagner. Gaetano Fidanzati morirà nel 2013 a 78 anni; l’eredità del palermitano che portò la polvere bianca a Milano alleandosi con i Corleonesi trionfatori nella guerra di mafia, è adesso nelle mani del fratello Stefano: il boss dell’Arenella-Acquasanta che studia da capo dei capi.