“È meglio parlare o morire?”. A 17 anni non ci si può permettere di tacere. Specie se si ha il dono di sentire le vibrazioni di un sentimento al pari delle note musicali. Elio possiede la grazia, quasi divina, di saper ascoltare la vita ed avere il coraggio di viverla in pienezza. Un personaggio di questa rarità non poteva restare inviolato sulle pagine del pur folgorante romanzo di André Aciman: ad incaricarsi di tradurre per il cinema Call Me By Your Name si è fatto carico Luca Guadagnino, autore cosmopolita e pasionario della cinefilia.
Approdato alla Berlinale nella sezione Panorama Special, il film è stato accolto in autentico trionfo, tanto dal pubblico quanto dalla critica internazionale, che – come era accaduto alla premiére mondiale al Sundance poche settimane fa – non ha potuto evitare di intonare mente e cuore davanti all’opera più bella – finora – del cineasta italo-etiope. Impossibile è, di fatto, resistere alla pelle d’oca scatenata dalla sensualità restituita attraverso la storia d’amore giovane ma matura fra il teenager Elio e il 24enne Oliver, che prende forma in una calda estate del nord Italia nel 1983.
Da almeno nove anni Guadagnino medita la realizzazione di questo film, sorta di ideale chiusura della trilogia iniziata con I am Love e continuata con A Bigger Splash. Al suo fianco in fase di sceneggiatura, il grande regista britannico James Ivory e il montatore/scrittore Walter Fasano. “Questo lavoro è stato un parto d’amore; vi abbiamo partecipato tutti come fossimo invitati a condividere un piacere della vita. Attorno al tavolo della mia cucina, a Crema, abbiamo trascorso intere giornate cercando di comprendere come far nascere il nostro film da questo incredibile romanzo” racconta Guadagnino. “La sfida era quella di pensare come André (Aciman, ndr) che ama scavare nelle motivazioni dei personaggi per renderli autentici. La stesura della sceneggiatura ci ha portato alla ricerca dell’essenza del libro da tradurre in un linguaggio cinematografico il più possibile nostro”. Da parte sua, lo scrittore franco-americano raffinatissimo studioso dell’opera di Marcel Proust, non fa che compiacersi della rappresentazione in anima&corpo generata nel film dei suoi protagonisti, “pensati psicologicamente” e “proustianamente scritti” nel ricordo in prima persona del giovane Elio.
Guadagnino ha tuttavia evitato ogni voce narrante, pregiandosi di una colonna sonora in sostituzione. “Accanto ai pezzi per pianoforte di John Adams che forniscono l’immaginario di Elio e a quelli tipici degli anni 80 che popolano il nostro, abbiamo chiesto a Sufjan Stevens di creare una musica di narrazione profonda e intima”. Elegia sentimentale borghese non scevra dal contesto storico – appunto l’inizio degli Ottanta italiani – con tanto di sfondi politici (già) ingombranti come Craxi e Gelli, e persino Grillo allora solo comico, che campeggiano fra quotidiani e notiziari, Call Me By Your Name è definito dal suo regista quale “un idillio” inventandosi lì per lì un genere cinematografico inesistente, seppur consapevole di quanto il proprio cine-immaginario francese abbia inciso in quest’opera (“il Renoir di Una gita in campagna, il Bresson di Un condannato a morte è fuggito…e ovviamente Bertolucci..”). “Lo scopo – continua Guadagnino – era di lavorare sul senso di fusione fra questi due individui, dentro a un’intimità totale, non solo sessuale”.
Complice della riuscita dell’opera è la magnifica coppia di attori americani nei panni di Oliver ed Elio: Arnie Hammer e il sorprendente 21enne Timothée Chalamet, già nel cast della serie Homeland. Il cineasta li ha guidati in un universo di sentimenti senza barriere e che – spiega Hammer – “supera il gender, potendo appartenere a chiunque e ovunque”.
Non ci sarà un sequel né per il libro né per il film, così come non tornerà più quell’epoca di aperture e cambiamenti di cui sono espressione i mirabili genitori di Elio: coltissimi, poliglotti ed ebrei, che straordinariamente gli permettono di sperimentare un’esperienza “di bellezza unica nella vita”.