Ci sono testimonianze inedite dei magistrati di Palermo che hanno lavorato fianco a fianco con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sulle settimane precedenti alle stragi di Capaci e via D’Amelio a Palermo, avvenute il 23 maggio e il 19 luglio 1992. Sono racconti drammatici sulla strada sbarrata a Falcone che voleva la verità sugli omicidi politico-mafiosi e i possibili legami con Gladio; sulla diffidenza di Borsellino nei confronti di alcuni colleghi, a cominciare dall’allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco.
Borsellino stava conducendo indagini in gran segreto sulla morte di Falcone, ma anche su vicende indicate dallo stesso magistrato nei suoi diari pubblicati dopo Capaci. Sugli allarmi ignorati che, forse, avrebbero potuto salvare le vittime delle due stragi. Alfredo Morvillo, Roberto Scarpinato, Vittorio Teresi, Ignazio De Francisci, Antonio Ingroia sono alcuni dei pm di allora alla Procura di Palermo che sono stati ascoltati dal comitato antimafia del Consiglio Superiore della Magistratura tra il 28 e il 30 luglio 1992, una decina di giorni dopo la strage di via D’Amelio.
Sono i pubblici ministeri che avevano firmato assieme a Teresa Principato, Antonio Napoli e Giovanni Ilarda (tra i contrari Giuseppe Pignatone, Guido Lo Forte e Gioacchino Natoli) un documento in cui presentavano polemicamente le dimissioni per l’assoluta mancanza di sicurezza e per la gestione della Procura da parte di Giammanco. Il procuratore, com’è noto, su sua richiesta sarà trasferito nell’agosto successivo, i pm ritireranno le loro dimissioni e alla guida della Procura arriverà Gian Carlo Caselli.
Le deposizioni dei magistrati non sono mai state rese pubbliche. Stranamente, il Csm non le ha incluse negli atti desecretati su Falcone e Borsellino in occasione del venticinquesimo anniversario della strage, l’anno scorso. Al Fatto risulta che queste testimonianze, di recente, siano state acquisite dalla Procura di Caltanissetta che è tornata a scandagliare i buchi neri delle indagini su chi ha voluto la morte di Falcone e Borsellino.
Roberto Scarpinato
(Ex pm e ora procuratore generale di Palermo – audizione del 29 luglio 1992)
Dinanzi alla bara di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino disse: ‘Ciascuno di noi deve avere la consapevolezza che se resta, il suo futuro è quello’ e indicò la bara di Falcone. Paolo Borsellino sapeva che doveva morire. I carabinieri avevano segnalato che si stava organizzando un attentato, sapevamo che era arrivato il tritolo, sapevamo che il prossimo della lista era Paolo Borsellino. Ecco perché è una strage in diretta. Borsellino è morto per il tritolo e per l’incapacità di questo Stato di proteggere i servitori dello Stato. Mi è venuto in mente che era stato abolito il servizio di elicotteri per sorvegliare le autostrade di Punta Raisi perché ogni volo costava 4 milioni, e che Giovanni era addolorato di questo fatto. (…).
C’è una riunione alla quale partecipa il Procuratore Giammanco, Falcone dice in tono acceso a Giammanco: ‘Io non condivido il tuo modo di gestire l’ufficio’ (con riferimento al processo per gli omicidi politici di Michele Reina, Piersanti Mattarella e Pio La Torre, ndr) . I problemi con Giammanco si ponevano quando si passava in materia di mafia a livelli superiori. Per esempio il caso Gladio. Accade in particolare che un estremista di destra, di Palermo, dichiara alla televisione che lui faceva parte di un’organizzazione clandestina che era simile a quella di Gladio, che aveva avuto il compito di seguire alcuni personaggi politici siciliani (tra cui Mattarella, ndr).
( …) La posizione di Falcone e mia era quella di acquisire tutti gli atti di Gladio (…). Le resistenze erano talmente avvertite da Falcone che disse: ‘A questo punto io vi rimetto la delega, occupatevene voi’. Alla fine si decide che Falcone sarebbe andato nella sede dei servizi segreti a guardare gli atti e a verificare se per caso c’era qualcosa che ci poteva interessare. Si decise di affiancarlo con il collega Pignatone (l’attuale procuratore di Roma, ndr) fatto che lui visse come una specie di mancanza di fiducia e ricordo che io rimasi insoddisfatto perché dissi: ‘Come si fa nell’arco di pochi giorni a visionare tutti questi atti, a memorizzarli e a prendere in considerazione tutti i fatti che ci possono essere utili in questo processo. Può darsi ché un nome che in quel momento non dice assolutamente niente, tra 15 giorni può essere rilevante (…).
C’è un fatto che mi ha molto inquietato e cioè che Paolo Borsellino conducesse delle indagini su fatti di grande rilevanza all’insaputa del Procuratore (Giammanco, ndr). Mi chiedo, ma cosa sta succedendo in questa Procura? Mi inquieto perché Paolo Borsellino è una persona che gode della mia assoluta stima e fiducia. Perché se fosse stato qualsiasi altro magistrato avrei potuto pensare a qualche cosa di deteriore. Paolo Borsellino si comporta così. Mi vincolò al segreto. E su queste indagini, naturalmente, non posso dir niente per motivi di ufficio. Diciamo che questa situazione, credo di non sbagliare, almeno, io l’avevo conosciuta un mese prima (della strage di via D’Amelio, ndr). Ecco, il fatto che lui l’abbia confidato a me è stato un gesto di grande fiducia. Però di grande responsabilità (…). Questa circostanza è nota soltanto a me, al sostituto Ingroia, e forse a uno o due altri sostituti, le persone che godevano dell’assoluta fiducia di Paolo Borsellino. Paolo riferiva tutto e sempre (a Giammanco, ndr) ecco perché io vengo colpito (…) proprio perché la normalità era quella, se così non fosse stato non sarei rimasto colpito. Ma quei fatti, fatti che non vi posso riferire, ma che sono di grandissima rilevanza e che riguardano determinati livelli, su quei fatti Paolo Borsellino raccomandò la segretezza.
Antonio Ingroia
(Avvocato. Ex pm di Palermo, ex coordinatore dell’inchiesta sulla trattativa – audizione del 31 luglio 1992)
Borsellino una volta, eravamo a casa sua a Marsala una sera, quindi prima ancora che arrivasse a Palermo, lo ricordo con esattezza anche se non mi diede spiegazioni precise in merito, mi disse testualmente: ‘Giammanco è un uomo di Lima’ (Salvo Lima, ex ‘proconsole’ di Giulio Andreotti in Sicilia, ndr), affermazione per la quale io evidentemente rimasi turbato. Dopo la morte di Giovanni Falcone, oltre a occuparsi delle sue indagini, oltre ad avere interesse per l’indagine Mutolo (il pentito Gaspare Mutolo, ex pupillo di Riina, ndr) oltre ad avere interesse per l’indagine Falcone, faceva numerose indagini per conto suo. Chiamiamole approfondimenti sulle questioni indicate nei diari di Falcone. Chiese un colloquio con Scarpinato per quanto riguarda la questione Gladio, la questione del rapporto dei carabinieri sugli appalti. Il discorso è che non si fidava del dott. Giammanco. (Non approfondii, ndr) Paolo era per me quasi Vangelo.
Vittorio Teresi
(Pm di Palermo, coordinatore dell’inchiesta sulla trattativa – audizione del 28 luglio 1992)
In un’indagine che conduco io e che conducevo assieme a Paolo Borsellino a un certo punto Paolo mi comunicò una notizia molto riservata che aveva appreso da un organo di polizia e riguardava un politico, riguardava un grosso mafioso eccetera, era una notizia ovviamente tutta da controllare, da verificare ma comunque era una delle tante ipotesi di lavoro. Paolo disse espressamente di non parlarne in giro perché temeva che finisse all’orecchio di Giammanco. Qual è l’indagine non lo posso dire, questa non era affatto notizia confermata, era semplicemente una pur fondata confidenza di un organismo di polizia, però era molto scottante, era molto delicata.
Alfredo Morvillo
(Ex pm di Palermo, oggi procuratore di Trapani. Fratello di Francesca Morvillo Falcone – audizione del 28 luglio 1992)
Quello che è successo a Borsellino, quello che è successo a Falcone, credetemi, non è una qualche cosa di imprevedibile e di inevitabile, perché io vorrei sapere per quale motivo si dica che Falcone era l’uomo più scortato del mondo, il che non è affatto vero e vi dico perché: a Falcone, negli ultimi tempi, avevano diminuito le misure di protezione. Lo sapevano tutti a Palermo che Falcone ormai non aveva più l’auto di staffetta e l’elicottero. Ma non gliene frega niente a nessuno! I ragazzi della scorta, che sono venuti a trovarmi, mi hanno detto che avevano chiesto anche la possibilità di avere a disposizione, a Punta Raisi che è sul mare, di una pilotina per eventualmente utilizzarla per ritornare via mare, una pilotina, una barca della polizia per tornare via mare. La verità è questa, che persino nei confronti di Giovanni Falcone si adopera la mentalità del rilassamento burocratico! Falcone, signori miei, diciamolo, siamo chiari, in certe situazioni, contava molto poco. Falcone, al di là delle parole che tutti noi possiamo essere bravissimi a dire (…) Falcone non coordinava niente! (…). Dopo la strage del 23 maggio arriva un anonimo con chiare minacce per alcuni colleghi, con le fotografie di Borsellino, De Francisci, Teresa Principato… nonostante sia successo quello che è successo il 23 maggio, in questa riunione mi dicono i colleghi (io non c’ero per i noti fatti) ancora una volta sottovalutazione. Giammanco: ‘È una stupidaggine, che fa, la stracciamo?’. La stracciamo? Arriva l’anonimo, dopo quello che è successo a Palermo, per i colleghi del tuo ufficio che sono come, a volte, lui stesso ha detto, ‘tuoi figli’ e tu che fai? ‘Lo stracciamo!’. E allora lo mandiamo, per competenza, a Caltanissetta. Al Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, mi dicono i colleghi, che, fra l’altro, non hanno avuto nessuna protezione dopo questo fatto (fino alla strage di via D’Amelio, ndr).
Ignazio De Francisci
(Ex pm di Palermo, procuratore generale di Bologna – audizione del 29 luglio 1992)
Questa lettera era un collage fotografico: c’era la foto di Paolo, c’era quella mia e quella della collega Principato. Tra l’altro era una strana fotografia perché io non ricordavo di averla vista mai, non è che io spunti molto su i giornali, quindi la cosa mi colpì… Sono andata da Giammanco e io gli ho detto: ‘Senti Procuratore, io non me la terrei né la cestinerei’. Ricordo che il Procuratore mi disse: ‘Mah!’, Cioè era dubbioso sull’opportunità o meno di inviarla (agli organi preposti, ndr). Dopo ne parlai con Borsellino e ricordo che lui era già un po’ incupito anche se dal punto di vista personale mi disse una frase del genere: ‘Noi non ci dobbiamo far spaventare per una lettera’. (…) Ora mi hanno dato una specie di scorta composta dalla macchina blu con le insegne dei carabinieri. L’Arma ha fatto levare in volo l’elicottero che ha seguito la mia autovettura da casa sino all’aeroporto di Punta Raisi. La polizia prima l’aveva dato a Giovanni Falcone per anni e poi gli era stato tolto. Quando sentivo questo elicottero non potevo non ricordare l’amarezza di Giovanni Falcone quando glielo tolsero. Voi lo conoscevate, non è che parlasse molto di queste cose; non ne parlava in maniera enfatica, però, mi ricordo che una volta che io partii con lui notai l’assenza dell’elicottero, glielo dissi e lui mi rispose: ‘Che ci vuoi fare?’, insomma con una frase un po’ fatalista. (…).
Io ho avuto la netta sensazione che il Procuratore, nella gestione dell’ufficio, avesse una corsia differenziale sulla quale passavano o potevano passare soltanto alcuni colleghi. Quello che io sinceramente non ho mai capito è perché lui si fidasse soltanto di due, tre persone e passasse con loro le grosse decisioni dell’ufficio: Guido Lo Forte, Giuseppe Pignatone, in prima istanza Giustino Sciacchitano. Ecco, il fatto che specialmente Lo Forte e Pignatone siano tecnicamente bravissimi e abbiano una innata dote di prudenza, anche abilità nel gestire tutte le seccature che un grosso ufficio comporta, questo secondo me, in assoluta serenità di spirito, non consentiva (a Giammanco, ndr) di accentrare attorno a queste persone tutte le decisioni, se vogliamo anche strategiche o comunque le pre-decisioni dell’ufficio, per poi venire alle riunioni con una sensazione che almeno io avevo di minestra già fatta (…) . L’arrivo di Borsellino aveva ridato impulso alle indagini (…) Ebbi la sensazione che nei confronti di Paolo si riproponessero le stesse difficoltà di cui mi aveva parlato Giovanni.