Metà dei commissari europei che hanno lasciato la politica con le elezioni del 2014 è stata arruolata da organizzazioni impegnate nel lobbismo a Bruxelles, mentre il 30 per cento dei 171 eurodeputati che hanno trovato un nuovo impiego con la fine della legislatura è finito nel libro paga di enti registrati come lobby. Il conteggio di Transparency International rivela la dimensione del problema delle “porte girevoli”, attraverso le quali politica e affari si mischiano in modo insidioso, a danno dei comuni cittadini. Il caso dell’ex presidente della Commissione José Manuel Barroso, andato 20 mesi dopo la fine dell’incarico alla presidenza non esecutiva della filiale europea di Goldman Sachs, una potenza del lobbismo Ue, è solo il più noto. Un’inchiesta di Sofia Basso su Fq Millennium, in edicola domani, scava in molte altre vicende, e dà conto della scarsa incisività delle contromisure adottate finora.
Il mensile diretto da Peter Gomez propone diverse inchieste e approfondimenti che spiegano come mai l’Unione europea sia oggi così in crisi, assediata dal fronte populista che punta a fare il pieno di voti alle elezioni di maggio 2019. La gestione Juncker è raccontata attraverso “la grande rapina” da mille miliardi l’anno, quanto vale l’elusione fiscale dei grandi gruppi – da Apple e Google – che approfittano di accordi fiscali privilegiati per abbattere a cifre irrisorie le imposte che dovrebbero pagare nei Paesi – Italia compresa – dove producono i profitti. E la Mecca di questi accordi – come ricostruisce il giornalista investigativo Leo Sisti in Il Paradiso dei ricchi (Chiarelettere) – è proprio il Lussemburgo, di cui l’attuale presidente della Commissione europea è stato padrone politico assoluto per decenni.
Alla corte di Juncker si consumano intrighi di cui l’opinione pubblica è all’oscuro, come le manovre spregiudicate che hanno portato il tedesco Martin Selmayr a diventare segretario generale, il vero uomo forte della Commissione europea secondo le fonti di alto livello consultate da Fq MillenniuM. Storture e abusi che rischiano di appannare i vantaggi che l’Unione ha portato in questi anni, dalle norme sulla sicurezza dei prodotti all’abbattimento delle tariffe telefoniche per le chiamate in altri Paesi membri.
E che finiscono per fornire sostegno al fronte sovranista non certo immune da pecche, come mostra l’approfondimento sul regime di corruzione legalizzata su cui si regge l’Ungheria di Viktor Orbán. “È facile attribuire la responsabilità dell’ascesa dei fronti populisti e delle destre agli immigrati e ai rifugiati”, afferma lo scrittore Petros Markaris in un lungo articolo che racconta come, dietro le statistiche economiche in miglioramento, dopo la cura della Troika molti greci continuino a “soffrire e lottare per la sopravvivenza”. Secondo il giallista, famoso anche in Italia per le gesta del commissario Kostas Charitos, la crisi dell’Ue è dovuta soprattutto alla “politica economica che hanno attuato i partiti tradizionali di centrodestra e centrosinistra dal 1990 a oggi”.
Scandali legalizzati come quello delle “porte girevoli”, in questo quadro, minano ulteriormente la credibilità delle istituzioni europee e delle loro scelte. Da Google a Uber, da Ubs a Bank of America, troppi sono i grandi gruppi che reclutano in massa ex commissari, ex parlamentari, ex funzionari freschi di dimissioni. Per non parlare dei circa mille esperti dell’Ema, l’agenzia che controlla la sicurezza dei medicinali in Europa, che hanno interessi diretti o indiretti nell’industria farmaceutica. Niente di illegale. Ma la posta in gioco riguarda l’eterno scontro tra interesse pubblico e interesse privato. “I casi di revolving door e di conflitto di interessi tra i funzionari pubblici – dice a Fq Millennium la mediatrice europea Emily O’Reilly – possono essere molto dannosi per l’opinione pubblica, perché danno l’impressione che il business abbia un accesso privilegiato a chi fa le leggi che poi influenzano la nostra vita di tutti i giorni”.