Rolex, bugie e videotape. Alla fine saltano fuori i cronografi sauditi al centro della baruffa tra i componenti della delegazione di Palazzo Chigi in trasferta a Ryad nel novembre 2015, raccontata a puntate dal Fatto e costata una figuraccia planetaria al governo di Matteo Renzi. Eccoli qui, in foto e video esclusivi del Fatto (il video uscirà sul sito): tre Yacht Master da 15mila euro, altri cronografi da 4mila in su, ma anche penne d’oro e gioielli finora ignoti. Le immagini arrivano direttamente dalla cassaforte al secondo piano del palazzo di via della Mercede 96, presso il Dipartimento dei beni strumentali (Diprus) della Presidenza del Consiglio, dove restano in attesa di una valutazione e di una destinazione. La domanda ora è: c’è proprio tutto?
L’inventario dei preziosi, emerso solo ora grazie a un nuovo accesso agli atti presso la Presidenza del Consiglio, fa risaltare un dettaglio: la consegna al Diprus è avvenuta a fine dicembre 2016, cioè con 13 mesi di ritardo sulla tempistica dettata dalla legge in materia di doni ai dipendenti pubblici che ne impone la “restituzione immediata”. Fino all’uscita di scena di Renzi, si scopre ora, sono rimasti nelle mani del suo capo scorta, il colonnello Giovanni Serra, anziché presso gli uffici previsti: ecco perché ancora oggi, dopo quasi tre anni, nessuno può giurare che al Diprus sia arrivato tutto quel che partì da Ryad. Di certo, il tempo ha dato un senso e una svolta alla vicenda partita da una volgare zuffa innescata dalla scorta di Renzi per assicurarsi i cronografi più preziosi, spariti e poi riemersi nella più ipocrita riservatezza. E come nei migliori gialli estivi, la soluzione riserva colpi di scena e nuovi misteri.
Intanto si scopre, ad esempio, che il forziere è ben più ricco di quanto si sapesse, degno davvero di un sultano d’Oriente come è re Salman. La lista dei doni riporta 16 preziosi: 6 orologi di marca Mouawad, tre Rolex modello Yacht Master II (circa 15mila euro ciascuno), un Datajust II e due Oyster Swimpruf (3-4mila euro), un cofanetto Girard Perregaux (orologio, penna d’oro Dior, anello, gemelli, collana), analogo cofanetto Hublot (penna marca Aurora, gemelli, collana). Tutti destinati ai componenti della delegazione al seguito di Renzi, al quale ufficialmente andava solo una scultura, inserita nel registro dei doni e restituita: le carte non menzionano alcun orologio per lui, ma più di un testimone oculare ne ha raccontato la consegna presso il palazzo reale a Ryad. Fonti a lui vicine fanno sapere che Renzi non ha trattenuto alcun Rolex ma che la lite per gli orologi ci fu eccome, tanto che lui stesso pretese la loro riconsegna prima di lasciare Palazzo Chigi. Fece mettere a verbale che tutti, nessuno escluso, avevano riconsegnato i doni. Compreso il suo, mai toccato. Altri lo avevano preso, ma furono costretti a riconsegnarlo.
Il tentativo di raddrizzare le cose, però, passa per la profanazione seriale di varie leggi dello Stato. Intanto i dipendenti pubblici non possono accettare omaggi di valore superiore ai 150 euro (direttive Monti 2012 e legge Patroni Griffi 2013), che diventano 300 per premier, ministri e familiari (decreto Prodi 2007): li devono “mettere immediatamente a disposizione del Dipartimento competente in materia di risorse strumentali a cura del dipendente”. Del capo del Cerimoniale dunque, non di altri. Invece, fa sapere Chigi, la riconsegna dei tesori sauditi “è avvenuta con unico versamento da un funzionario della suddetta delegazione italiana, come risulta dai verbali di consegna in possesso di questa Amministrazione”. Il Fatto li ha potuti visionare e sono effettivamente firmati dal capo scorta di Renzi. Il verbale è datato 23 dicembre 2016, un anno e un mese dopo la “baruffa di Ryad” e dopo svariati articoli del Fatto.
Le cose sono andate così. Il 7 dicembre 2016 Renzi si dimette, cinque giorni dopo il suo capo scorta Serra va al Diprus e avvia le “operazioni di consegna dei doni ricevuti in occasione della visita istituzionale in Arabia Saudita in data 9 novembre 2015”. Le operazioni si concludono due settimane dopo, alla presenza di funzionari “in qualità di testimoni”, circostanza che rende ancora oggi impossibile stabilire se ci fosse “tutto”. Il verbale di consegna certifica le bugie di Palazzo Chigi (quando, all’epoca, sosteneva che quei doni erano nella sua disponibilità, mentre erano stati recuperati alla spicciolata e affidati al capo scorta di Renzi) e allunga altre ombre: l ’elenco dei preziosi controfirmato da Serra e dai presenti precisa che “i suindicati doni erano destinati ai componenti della delegazione al seguito del presidente del Consiglio”. Subito sotto l’inventario riporta una scultura “che viene inserita nel registro dei doni alla Presidenza”, si legge. Neanche qui salta fuori il Rolex per Renzi, verosimilmente il più costoso. Da nessuna parte viene siglato col sangue, come ancora assicurano dalle parti dell’ex premier Renzi, che tutti, nessuno escluso, avevano riconsegnato.
Della restituzione, del resto, non c’è traccia neppure nel registro dei doni della Presidenza del Coniglio, aggiornato a maggio 2018, che il Fatto Quotidiano ha chiesto e ottenuto per vie ufficiali sempre da Chigi. Di sicuro nel Golfo Persico sono più certi di prima che gli italiani vanno letteralmente pazzi per gli orologi di lusso donati dagli sceicchi. A novembre 2017 il premier era Paolo Gentiloni e quando porta una delegazione in Qatar, viene salutata con una pioggia di 47 orologi, in questo caso prontamente riconsegnati e “devoluti a fini istituzionali”. Per pudore o forse per prudenza, la dicitura è però solo “orologi varie marche. Di Rolex, meglio non parlar più.