La lunga lettera redatta da monsignor Carlo Maria Viganò, contenente un atto di accusa contro papa Bergoglio per la copertura accordata al cardinale molestatore McCarrick, può essere letta sia come una vendetta dell’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti “trombato” un paio di anni fa, che come un disperato gesto di opposizione a Francesco da parte di un anziano prelato che, ormai libero da incarichi, può dar voce alle lamentazioni di tanti gerarchi scontenti del pontificato argentino.
È probabile che le cose stiano così, ma questo non esclude che ciò che viene narrato nella lettera possa essere vero. Il principale indizio che porta in questa direzione consiste nella descrizione molto dettagliata e precisa di fatti e circostanze che Viganò è stato in grado di offrire a chi legge il documento. Con tutta probabilità non conosceremo mai la verità. Il papa non sembra interessato a smentire le dichiarazioni di Viganò, preferendo ignorarle del tutto e l’ex nunzio non è certo in grado di esibire prove che permettano di confermare la veridicità di quel che egli ha sostenuto nella lettera. A meno che qualche altro dirigente cattolico decida improvvisamente, cosa molto improbabile, di “vuotare il sacco” e confermare quel che ha scritto Viganò, la vicenda è destinata a sgonfiarsi abbastanza rapidamente.
La questione della pedofilia clericale è anche e soprattutto un pretesto all’interno di una battaglia politica senza esclusione di colpi per il controllo dell’organizzazione. La speranza di Viganò e dei suoi sodali è che la fine del pontificato argentino si stia avvicinando e che quindi si stiano per riaprire i giochi per la conquista del potere.
In questo scenario, Viganò e chi lo appoggia hanno, per risolvere tutti i problemi che affliggono la Chiesa, primo tra tutti la pedofilia clericale, una ricetta semplice centrata essenzialmente su una lotta senza quartiere al clero omosessuale. “Occorre denunciare – si legge nella lettera – la gravità della condotta omosessuale. Occorre sradicare le reti di omosessuali esistenti nella Chiesa, come ha recentemente scritto Janet Smith, professoressa di Teologia morale nel Sacred Heart Major Seminary di Detroit: “Il problema degli abusi del clero non potrà essere risolto semplicemente con le dimissioni di alcuni vescovi, né tantomeno con nuove direttive burocratiche. Il centro del problema sta nelle reti omosessuali nel clero che devono essere sradicate”. Queste reti di omosessuali, ormai diffuse in molte diocesi, seminari, ordini religiosi, “agiscono coperte dal segreto e dalla menzogna con la potenza dei tentacoli di una piovra e stritolano vittime innocenti, vocazioni sacerdotali e stanno strangolando l’intera Chiesa”.
In verità, su questo punto, e cioè sugli effetti della presenza dei gay nel clero, il papa non sembra pensarla molto diversamente da Viganò: certo non ha mai usato i toni esplicitamente omofobi adottati dall’estrema destra, ma in compenso ha parlato più di una volta di “lobby gay”, ribadendo ai vescovi italiani e a quelli cileni che l’omosessualità può intrecciarsi col tema degli abusi e che in ogni caso va “sradicata” totalmente dai seminari. Due giorni fa, Francesco l’ha definita implicitamente una malattia che, se presa in tempo, può essere curata con l’aiuto della psichiatria.
Insomma, il rischio concreto è che, al di là del caso McCarrick, le diverse cordate di potere in lotta per l’egemonia nella Chiesa si saldino intorno all’omofobia, all’identificazione degli omosessuali come gruppo “deviante”, perché più portato a molestare i bambini e a ad agire di concerto come un gruppo organizzato nell’ombra. Inutile dire che sarebbe la risposta peggiore alla crisi inaugurata dagli scandali sessuali del clero. La più sbagliata e la più dannosa.