Il Tribunale del Riesame salva l’inchiesta Consip. O almeno il filone che riguarda la corruzione di Alfredo Romeo, ma anche quello in cui sono accusati Carlo Russo e il padre dell’ex premier, Tiziano Renzi, per traffico di influenze. Nelle motivazioni del Riesame, che ha scarcerato l’imprenditore napoletano dopo 168 giorni tra carcere e domiciliari, i giudici fanno un punto anche sulle intercettazioni agli atti dell’inchiesta e spiegano, in soldoni, che se quelle disposte con il trojan non sono utilizzabili, non si può dire lo stesso per quelle conversazioni captate con i sistemi più classici delle cimici.
È scritto nelle motivazioni del Riesame: “Va considerata, pur all’esito di tale valutazione di inutilizzabilità (sul trojan, ndr), la tenuta del complessivo quadro indiziario che è in gran parte fondato, come si è visto, sulle tradizionali intercettazioni ambientali eseguite con modalità tradizionali nel periodo 3 agosto-29 novembre 2016 nel corso del quale sono stati documentati 13 incontri tra Romeo e Gasparri”, ossia il dirigente Consip che avrebbe ricevuto dall’imprenditore circa 100 mila euro in 4 anni. In cambio avrebbe fornito informazioni riservate sulle gare. Accuse queste per le quali Romeo dovrà affrontare un processo per corruzione, mentre Gasparri – che ha ammesso – ha chiesto di patteggiare una pena a 20 mesi di reclusione.
Ma nel periodo agosto-novembre 2016, le intercettazioni ambientali non riguardano solo gli incontri Gasparri-Romeo.
Il 3 agosto entra in scena anche Carlo Russo – imprenditore fiorentino amico del papà di Matteo Renzi – che fino a ottobre 2016 è stato intercettato ben 8 volte mentre parlava con Romeo. Secondo i carabinieri, Romeo avrebbe trattato con Russo il pagamento a Tiziano Renzi di una sorta di stipendio in cambio della copertura politica su Consip e non solo.
Una specie di accordo (ipotetico) finito su un foglio scritto da Romeo il 14 settembre davanti a Russo, poi strappato e ritrovato nella spazzatura dal Noe: “30 mila euro al mese per T.”, che secondo i carabinieri è Tiziano Renzi, e “5 mila euro al bimestre per C.R.”, Carlo Russo, sempre per gli investigatori. Sui pizzini in generale agli atti dell’inchiesta, il Riesame scrive: “L’acquisizione dei pizzini, riconducibili, come si è visto alla grafia dell’indagato, appare idonea a delineare efficacemente, in questa fase, il quadro indiziario a suo carico”, ossia di Romeo.
Ma nelle motivazioni del Riesame si parla anche delle intercettazioni disposte con il trojan, un virus che infetta i cellulari facendoli diventare dei registratori e che può essere utilizzato soltanto nei procedimenti di mafia. Il collegio dice di non poter esprimere alcuna valutazione “in ragione della concreta indisponibilità, in questa fase, degli atti dell’indagine napoletana”. E spiegano: “La concreta impossibilità di accedere al materiale acquisito nell’indagine napoletana, conduce necessariamente a escludere l’utilizzabilità nel presente procedimento”. Ciò, ribadiscono i giudici, “non implica necessariamente un giudizio negativo”.
Il Riesame, nelle motivazioni, si è espresso sulla posizione di Romeo, spiegando che seppur esistano “gravi indizi di colpevolezza” l’imprenditore napoletano può tornare in libertà perchè non ci sono più né il rischio di reiterazione del reato né quello di inquinamento probatorio. Insomma, non ci sono più le esigenze cautelari e ne spiegano le ragioni.
Innanzitutto perché la Romeo Gestioni ormai commissariata “risulta essere stata adeguata nel rilievi formulati dal gip” ed è stata anche espulsa “dai lotti precedentemente oggetto di aggiudicazione nell’ambito della gara Fm4” indetta da Consip. Inoltre, continua il Riesame, l’intera vicenda cautelare non può non “avere indotto Romeo (di cui la Cassazione ha sottolineato l’incesuratezza) (…) a una riflessione sulle conseguenze derivanti dalla propria condotta illecita”. Per non parlare del clamore mediatico che – è scritto nelle carte – induce “a escludere con certezza che nel breve periodo le amministrazioni che intratterranno rapporti con Romeo si asterranno dal porre in essere i necessari controlli per assicurare la regolarità delle procedure di selezione”. Ieri il maggiore Gianpaolo Scafarto, indagato in un filone dell’inchiesta Consip per falso e rivelazione di segreto, si è avvalso della facoltà di non rispondere.