Roberto Mandolini è indagato per falsa testimonianza sul caso Cucchi dalla Procura di Roma – secondo l’accusa avrebbe mentito ai pm della prima inchiesta coprendo così il “violento pestaggio” perpetrato da tre uomini dell’Arma nei confronti di Stefano – e ora è promosso da maresciallo a maresciallo capo.
“I carabinieri hanno fatto il loro dovere, arrestarono un grande spacciatore”. Questa frase, datata 6 gennaio 2016, è una risposta proprio di Mandolini a un post di Ilaria Cucchi. Il maresciallo capo, nel 2009 era sottufficiale alla caserma Appia, da dove partirono i militari che fermarono Stefano Cucchi, in precedenza era stato vicecomandante a Tor Vergata: la sua carriera lo ha portato poi a comandare una squadra del Battaglione mobile Lazio, caserma Tor di Quinto.
Il reparto si occupa principalmente di ordine pubblico, impiegato a Roma soprattutto nei controlli a San Pietro e nelle altre zone ritenute sensibili, quindi in questo momento in pieno servizio anti-terrorismo. Adesso per lui è arrivata anche la promozione di grado, da maresciallo a maresciallo capo: sul campo non cambia niente perché Mandolini di fatto già comandava una squadra del Battaglione, ma è comunque un premio che arriva proprio mentre la Procura di Roma si appresta a chiudere le indagini dell’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre 2009. E, nell’inchiesta bis, il maresciallo capo è indagato, appunto, per falsa testimonianza.
Mandolini, che su Facebook prende posizione e scrive spesso in difesa dell’Arma, secondo l’accusa è caduto in contraddizione proprio sulla perquisiziona domiciliare eseguita la notte dell’arresto a casa dei genitori di Stefano e sulle ragioni del mancato fotosegnalamento. Come è stato ricostruito dal procuratore capo Giuseppe Pignatone e dal sostituto Giovanni Musarò i carabinieri Di Bernardo e D’Alessandro quella notte avrebbero operato in borghese. Ma, nessuno dei due, risulta ufficialmente nel verbale d’arresto.
Secondo la procedura, poi, Cucchi avrebbe dovuto essere fotosegnalato, Mandolini ha spiegato così in aula la variazione al protocollo: “Il signor Cucchi mi disse che non gradiva sporcarsi con l’inchiostro per gli accertamenti dattiloscopici e fotosegnaletici. Dopo questa sua richiesta non ho ritenuto necessario farlo, visto che era una persona tossicodipendente, non l’ho voluto sforzare a fargli questa identificazione e non gli feci fare questi rilievi”. La procura ha rivelato in questa e in altre affermazioni di Mandolini contraddizioni con quanto ricostruito e, con tutta probabilità, a settembre saranno chiuse le indagini.
Da oltre un anno, inoltre, al reparto mobile di Tor di Quinto, seppur in un’altra squadra, c’è l’appuntato scelto Riccardo Casamassima. Lo stesso carabiniere dalla cui testimonianza si è mosso l’impianto accusatorio dell’inchiesta bis sulla morte di Cucchi. Perché era di servizio a Tor Vergata quando Mandolini ritornò dai suoi vecchi colleghi per informare il maresciallo Enrico Mastronardi, comandante di quella stazione, di quanto accaduto: “È successo un casino, i ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato”.
Al racconto di Casamassima e della sua convivente, anche lei nell’Arma, oggi carabiniere scelto a San Cesario, la procura ha trovato importanti riscontri. In linea teorica, in caso di missione congiunta tra più squadre del Battaglione Lazio, Mandolini potrebbe essere nella posizione di dover dare ordini a Casamassima, che ha già subìto dall’Arma punizioni ufficiali.
Il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette sul caso Cucchi non ha mai proferito parola e continua a non farlo. Nonostante le indagini e quest’ultima promozione di Mandolini. Per Ilaria Cucchi – che ieri pomeriggio ha rivelato questa promozione sull’huffingtonpost.it – “se si può dire che un politico non può e non deve sedersi affianco a un collega inquisito non si può promuovere un pubblico ufficiale indagato per gravi reati, che ha anche l’arroganza di mancare di rispetto alla magistratura e alla famiglia di un morto”.
di Giampiero Calapà e Silvia D’Onghia
La nota dei Carabinieri
Il maresciallo dei carabinieri Roberto Mandolini – precisa in una nota il Comando generale dell’Arma dei carabinieri – “è stato promosso ‘ad anzianità‘ da Maresciallo Ordinario a Maresciallo Capo, decorrenza 30 giugno 2015, con decreto dell’1 agosto 2016 della Direzione generale del personale militare. E’ un avanzamento di grado automatico, avendo maturato 7 anni di permanenza nel grado precedente, e dovuto, non essendo rinviato a giudizio”. Presso l’8/o Reggimento Carabinieri “Lazio”, lo stesso Mandolini “svolge servizio di ordine pubblico – aggiunge il Comando generale – e non comanda né è componente di alcuna squadra antiterrorismo”.