Uno degli aspetti più ambigui ed insidiosi della nuova disciplina delle intercettazioni introdotta con il decreto legislativo n. 216 del 2017, riguarda la ridefinizione dei rapporti tra pubblico ministero e organi di polizia nella selezione delle conversazioni rilevanti per le indagini.
L’attuale normativa prevede che il pubblico ministero può procedere all’ascolto personalmente (articolo 267, comma 4, c.p.p.) oppure avvalendosi, come sua longa manus, di un ufficiale della polizia giudiziaria al quale l’articolo 268 c.p.p. attribuisce il compito meramente esecutivo di trascrivere anche sommariamente il contenuto delle comunicazioni intercettate, senza operare alcuna selezione.
Tali trascrizioni, in gergo definite brogliacci, vengono quindi esaminate dal pubblico ministero al quale è attribuito dalla legge il potere di individuare le comunicazioni rilevanti per le indagini.
La nuova disciplina, che entrerà in vigore il prossimo 25 luglio, attribuisce invece agli ufficiali di polizia giudiziaria il potere di selezionare le comunicazioni rilevanti, stabilendo per essi il divieto di trascrivere, anche in modo sommario, le comunicazioni o conversazioni a loro giudizio irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti, nonché di quelle sempre a loro giudizio parimenti non rilevanti, che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge.
L’articolo 268 bis c.p.p. di nuovo conio stabilisce inoltre che gli ufficiali di polizia giudiziaria non solo devono omettere di trascrivere le conversazioni da essi ritenute irrilevanti, ma devono altresì omettere in tali casi qualsiasi indicazione sull’identità delle persone dialoganti e sull’oggetto delle loro conversazioni. Nel verbale delle operazioni devono essere indicate soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.
Per evitare che a causa di tale modalità di trascrizione delle conversazioni intercettate, che determina il totale oscuramento di quelle ritenute irrilevanti dalle forze di polizia, il pm sia privato di ogni potere di autonoma e successiva valutazione sulla rilevanza o meno delle predette conversazioni, un altro articolo della nuova disciplina (articolo 267, comma 4, c.p.p. come modificato), prevede che gli ufficiali di polizia giudiziaria devono provvedere a trasmettere al pubblico ministero “annotazioni” contenenti una sintesi delle conversazioni da essi non ritenute rilevanti e la cui trascrizione è stata omessa.
In tal modo viene conseguito un triplice scopo: 1) mantenere integro il ruolo di dominus del potere di indagine e di valutazione del materiale probatorio esclusivamente in capo al pubblico ministero, il quale sulla base di tali annotazioni delle forze di polizia viene messo in grado di conoscere anche il contenuto sommario delle conversazioni di cui è stata omessa la trascrizione perché ritenute irrilevanti dalla polizia giudiziaria, operando eventualmente una valutazione difforme di rilevanza; 2) garantire ai difensori, ai quali pure è attribuito il diritto di esaminare le annotazioni, di individuare eventuali conversazioni scartate dalla polizia giudiziaria ed invece aventi a loro giudizio rilevanza processuale per i propri assistititi, chiedendone così la successiva trascrizione al giudice; 3) garantire il diritto alla privacy dei terzi o degli stessi indagati in quanto la nuova normativa prevede che le “annotazioni” sul contenuto delle conversazioni ritenute irrilevanti siano coperte dal segreto e custodite presso un archivio riservato del pubblico ministero unitamente alle registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono (articolo 89 bis delle norme di attuazione), senza che i difensori possano estrarne copia essendo loro attribuito solo il diritto di esaminarle, così come ad essi è attribuito solo il diritto di ascoltare le conversazioni intercettate ritenute irrilevanti ma non il diritto di avere copia delle registrazioni.
A causa dell’ambigua formulazione della norma sulle annotazioni, il ministero della Giustizia nella relazione illustrativa del decreto legislativo n. 216 del 2017, ha invece fornito l’indicazione che tale norma deve essere interpretata nel senso che gli ufficiali di polizia giudiziaria non hanno l’obbligo di informare sistematicamente il pubblico ministero con apposite annotazioni sul contenuto di tutte le conversazioni da essi ritenute irrilevanti e dunque radicalmente omissate, ma solo nei casi in cui essi nutrano il dubbio se si tratti di conversazioni rilevanti o meno e quindi se procedere alla loro trascrizione. Tale interpretazione riduttiva sposta l’asse del potere selettivo delle conversazioni rilevanti per le indagini a favore delle forze di polizia, che così vengono abilitate a stabilire autonomamente quali tra quelle da essi ritenute irrilevanti siano meritevoli di essere sottoposte o meno al vaglio del pubblico ministero.
Si tratta di un’interpretazione che oltre a non avere una base testuale nella lettera della norma, non appare costituzionalmente orientata ponendosi in contrasto con i principi costituzionali di cui agli articoli 112, 104, 24 e 111 che sanciscono rispettivamente l’obbligatorietà dell’azione penale, l’indipendenza e autonomia della magistratura da ogni altro potere, l’inviolabilità del diritto alla difesa in ogni stato e grado del procedimento, l’attuazione della giurisdizione mediante il giusto processo: principi tutti che verrebbero sacrificati sull’altare del diritto alla privacy di cui all’art. 15, con un evidente sbilanciamento nel contemperamento dei valori che appare tanto più irragionevole ove si consideri che il regime di segretezza assicurato alle annotazioni è pienamente idoneo a garantire pure quest’ultimo diritto.
Ove venisse seguita l’indicazione ministeriale il pubblico ministero verrebbe infatti privato, a favore delle forze di polizia, della pienezza del potere-dovere di operare una autonoma valutazione di tutte le risultanze processuali acquisite, nessuna esclusa, ivi comprese quelle a favore della persona sottoposta ad indagini, obbligo quest’ultimo imposto espressamente dall’articolo 358 del c.p.p. solo a carico del pubblico ministero e non anche a carico delle forze di polizia. Verrebbe inoltre pregiudicata l’effettività del diritto di difesa, essendo evidente che i difensori in assenza di annotazioni che riguardino tutte le conversazioni ritenute irrilevanti e dunque non trascritte, verrebbero privati di una indispensabile bussola per orientarsi nell’individuare quelle per essi rilevanti e dunque da trascrivere. In assenza delle annotazioni, l’unica alternativa, impraticabile, sarebbe quella di procedere personalmente al riascolto di migliaia di ore di intercettazioni a volte protrattesi per lunghi mesi su varie decine di soggetti.
Purtroppo l’interpretazione riduttiva del ministero è stata fatta propria da alcuni procuratori della Repubblica i quali hanno già emanato direttive agli organi di polizia e ai magistrati dei loro uffici con ricadute sul piano degli equilibri generali che si profilano tanti più gravi quanto più tale interpretazione dovesse divenire maggioritaria.
Poiché, come accennato, la nuova normativa entrerà in vigore solo il prossimo 25 luglio, è bene assumere consapevolezza che sul terreno dell’interpretazione e dell’applicazione pratica della nuova normativa si giocherà nei prossimi mesi una partita di grande rilevanza istituzionale il cui esito è destinato ad incidere anche sulla latitudine dei poteri di indagine e di acquisizione delle prove del pubblico ministero nel settore del contrasto alla criminalità mafiosa e terroristica.
Infatti in tale strategico settore, la rilevanza delle conversazioni intercettate ai fini delle indagini non viene valutata solo in relazione all’oggetto e ai soggetti coinvolti nel singolo procedimento penale nel quale sono disposte le intercettazioni, ma anche con riferimento ad altri procedimenti penali pendenti presso la stessa Procura della Repubblica e in tutte le altre procure italiane sedi di direzioni distrettuali antimafia e di dipartimenti antiterrorismo.
Conversazioni ritenute irrilevanti in un procedimento instaurato per traffico di droga presso la Procura di Milano possono rivelarsi rilevantissime per un procedimento per omicidio alla Procura di Palermo e per un procedimento per misure di prevenzione patrimoniali alla Procura antimafia di Torino. Gli esempi concreti tratti dalla quotidianità della prassi operativa potrebbero essere migliaia.
L’obbligo della circolazione delle informazioni, eredità preziosa del metodo Falcone, finalizzato ad evitare il pericolo di dispersione di risultanze processuali irrilevanti nel procedimento in cui sono state acquisite, ma rilevanti in altri procedimenti, è sancito dall’articolo 102 del decreto legislativo n. 159 del 2011 (codice antimafia) e viene realizzato mediante l’inserimento costante dei flussi informatici di tutte le indagini concernenti reati in materia di mafia nelle banche dati logiche delle singole procure distrettuali antimafia, consultabili non solo dai magistrati di quelle procure ma anche dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo nell’ambito della banca dati nazionale condivisa gestita dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo quale prezioso supporto per il proficuo svolgimento della sua funzione di coordinamento.
Tale metodo di lavoro si è reso sinora possibile grazie all’attuale disciplina normativa delle intercettazioni che ha consentito di popolare costantemente le banche dati con le trascrizioni ed i brogliacci di tutte le intercettazioni eseguite nelle varie procure distrettuali italiane, trascrizioni che riguardano tutte le conversazioni sia quelle immediatamente rilevanti per il procedimento in cui sono state disposte sia quelle irrilevanti per quel procedimento ma potenzialmente rilevanti per altri procedimenti.
A seguito della entrata in vigore della nuova disciplina normativa sulle intercettazioni, tale metodo di lavoro potrà essere mantenuto solo se gli ufficiali di polizia giudiziaria oltre a trascrivere le conversazioni da essi ritenute rilevanti con esclusivo riferimento al procedimento in cui sono state disposte, redigeranno sistematicamente annotazioni per tutte le altre conversazioni da essi ritenute irrilevanti in quel procedimento ma che potrebbero avere grande rilevanza in altri procedimenti di cui essi non possono e non debbono avere cognizione.
Se invece dovesse affermarsi l’interpretazione secondo cui gli ufficiali di polizia giudiziaria possono omettere completamente non solo di trascrivere ma anche di annotare per il successivo controllo da parte del pubblico ministero, tutte o gran parte delle conversazioni da essi ritenute non rilevanti per quel singolo procedimento, si verificherebbe la dispersione di un enorme patrimonio informativo di cui non resterebbe traccia documentale, con gravi ricadute negative per l’efficacia del contrasto alla mafia ed al terrorismo.
*Procuratore generale a Palermo