Una pacchia, questa sì vera e senza fine. Profitti garantiti, costi bassi e, non di rado, devastazioni ambientali che restano in carico alla collettività. I gestori delle cave, in Italia, hanno vita facile con pochi controlli, guadagni enormi e senza lasciare niente allo Stato. Come succede a Comiziano, in provincia di Napoli, dove, secondo l’accusa della Procura, c’è stata la compromissione dell’acqua di falda. Una storia che si inserisce in un quadro nazionale dove gli impatti ambientali sono alti mentre restano bassi i ricavi per lo Stato.
Come dimostra l’ultimo rapporto sulle cave realizzato da Legambiente: “Le entrate degli enti pubblici dovute all’applicazione dei canoni sono ridicole – si legge nel dossier, aggiornato al 2017 – in confronto ai guadagni del settore. Il totale nazionale di tutte le concessioni pagate nelle regioni, per sabbia e ghiaia, arriva nel 2015 a 27,4 milioni di euro (…). Cifre ridicole rispetto ad oltre un miliardo di euro l’anno ricavato dai cavatori dalla vendita, un dato che rimane sbalorditivo e che ha visto un aumento medio dei prezzi dovuto principalmente alla minore quantità di materiale estratto e quindi disponibile sul mercato”.
Insomma le attività estrattive “mangiano” il territorio, mutano il paesaggio, ma a guadagnarci sono solo i privati. In troppe regioni, ancora, mancano piani cave e in alcune sono inadeguati i vincoli e mancano completamente gli obblighi di recupero ambientale.
Ma cosa succede all’estero? Se fossero applicati i canoni in vigore nel Regno Unito (20% del valore di mercato contro il 2,3% medio dell’Italia) si recupererebbero 545 milioni di euro all’anno di incassi per le Regioni. Dal primo Rapporto Cave di Legambiente, del 2009, si può stimare che siano stati sottratti canoni per oltre 3,5 miliardi di euro. Abbiamo perso 3,5 miliardi di euro, dati ai privati che lucrano sul nostro territorio. E il problema riguarda tutto il Paese. Nel 25% dei comuni italiani, oltre duemila, c’è una cava; quasi in mille comuni ci sono due cave. E in 1680 comuni c’è una cava abbandonata. Un settore che, come da anni sottolinea la direzione nazionale antimafia, registra diffusi illeciti ambientali. E se le regole e i controlli mancano, l’imprenditoria criminale fa bingo devastando ambiente e casse pubbliche. Quello che è successo a Comiziano, in provincia di Napoli, riassume bene la pacchia-cave.
A Napoli è in costruzione la linea metropolitana. Gli scarti di un cantiere vengono portati presso una ditta: la EdilCava di Torre del Greco dei fratelli Di Ruocco, che avrebbero dovuto trattare i materiali e, incontaminati, li avrebbero dovuto scaricare (come sabbia) presso la cava che sorge a Comiziano, gestita da Isidoro Tanagro, Giovanni e Francesco Apostolico. Una cava autorizzata alla ricomposizione ambientale dalla Regione Campania. Secondo il gip Federica De Bellis, su richiesta della Procura di Napoli, pm Maria Cristina Ribera e Gloria Sanseverino, è successo altro: ora i cinque imprenditori sono tutti agli arresti domiciliari accusati di traffico illecito di rifiuti e inquinamento ambientale. Come hanno scoperto polizia provinciale e carabinieri del Noe, guidati dal maresciallo Mario Taliento, i rifiuti presso la Edil Cava venivano fintamente trattati e andavano contaminati, inquinati, presso la cava a Comiziano.
“Le cave, negli ultimi anni, nell’assenza di controlli della pubblica amministrazione – racconta un investigatore – sono diventate discariche mascherate dove si massacra il territorio senza che la popolazione si accorga di nulla”. La cava di Comiziano, così l’azienda EdilCava, sono sotto sequestro; l’inchiesta è iniziata proprio indagando su un’altra cava dove avveniva esattamente la stessa movimentazione. Filippo Di Ruocco era già stato coinvolto in un’indagine, ma ha continuato a lavorare. Lo scorso novembre, a Comiziano, il sindaco Paolino Napolitano, senza disporre la chiusura della cava, aveva, richiesto la bonifica della stessa dopo le analisi effettuate dall’Arpa che evidenziavano la presenza in eccesso di cromo esavalente.
Ora l’inchiesta, dopo le analisi, conferma che c’è stata la compromissione significativa e misurabile dell’acqua di falda e del suolo “attraverso l’inquinamento da cromo esavalente (sostanza cancerogena), idrocarburi e anche amianto”. L’acqua del laghetto, dove sorge la cava, è stata utilizzata anche per lo spegnimento degli incendi sul Vesuvio “determinando – si legge nell’ordinanza – più che verosimilmente danni incalcolabili all’intero ecosistema già gravemente compromesso del parco nazionale”. I rifiuti movimentati illecitamente sono almeno 72 mila che hanno prodotto un guadagno per gli imprenditori coinvolti di quasi un milione di euro dovuto alla ricezione non autorizzata di rifiuti e al mancato trattamento. Per capire la pacchia basta leggere nella proroga dell’autorizzazione regionale quanto i gestori hanno pagato al Comune: 2 mila euro. La pacchia infinita e ignorata. L’indagine ora dovrà chiarire eventuali coperture e collusioni.