In via Rho al 9 per tutta la giornata di ieri qualcuno ha lasciato dei fiori, altri delle candele. I magistrati sono tornati per nuovi sopralluoghi, per diradare la nebbia fitta che ancora impedisce di capire cosa sia successo martedì all’interno del forno della Lamina spa. Quella fuga di gas e quei tre operai morti soffocati e un quarto per il quale, dopo l’accertamento della morte cerebrale da parte dei medici dell’ospedale San Raffaele è stato dichiarato il decesso. Per iniziare a dare un senso alla strage bisogna ritornare agli accertamenti iniziali fatti dai carabinieri e ai primi interventi dei vigili del fuoco. Sta qui la chiave per ricostruire la dinamica della vicenda. Due dati su tutti: l’allarme era rotto e la valvola del serbatoio dell’azoto era mal funzionante.
E così ecco il primo elemento clamoroso: l’allarme che non ha suonato non poteva farlo. Il motivo è molto semplice quanto drammatico: era guasto. Nello specifico, così hanno ricostruito i carabinieri, c’era un danno nel sensore che sta all’interno della vasca dove sono morti i primi due lavoratori, l’elettricista Marco Santamaria e il capo reparto Arrigo Barbieri. Il dato, sostengono gli investigatori, era ben presente al capo reparto. “Non a caso – spiega una fonte investigativa – era stato chiamato l’elettricista”. La presenza di Santamaria così non è legata alla manutenzione del riscaldamento come detto anche dagli stessi operai, bensì all’intervento sul sensore che attiva l’allarme in caso di fughe di gas. Torniamo allora all’incidente: sono circa le 16:30. I due scendono nella vasca attraverso la scaletta. Sanno che l’allarme non funziona, ma evidentemente sono sicuri che non vi sia pericolo. Dovrebbero ragionare in modo diverso? Tenere a mente gli aggiornamenti sulla sicurezza? O forse quegli aggiornamenti non erano completi al punto da sconsigliare una discesa in vasca con il sensore rotto e senza dotazioni specifiche?
I fatti raccontano che Marco e Arrigo sono scesi senza il minimo accorgimento, nemmeno una piccola mascherina. Il dramma, a questo punto, pare inevitabile. Perché quando fanno l’ultimo gradino s’immergono in 40 centimetri di azoto che ha coperto l’intera superficie della vasca bruciando ogni molecola di ossigeno. Qui c’è solo azoto e non anche metano come ha confermato ieri il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano. Si tratta di un gas non volatile e pesante che va a depositarsi al suolo. In quel momento la quantità è abnorme, segno che la perdita ormai va avanti da tempo. Ad Arrigo e Marco bastano pochi istanti per perdere i sensi ed entrare in arresto cardiocircolatorio. Non hanno nemmeno il tempo di chiedere aiuto. Lo farà, poi, Giancarlo Barbieri, fratello di Arrigo, tentando di salvarli e rischiando di soffocare. Destino peggiore capiterà all’operaio Giuseppe Setzu che morirà tentando un ultimo soccorso. Ed ecco il secondo dato clamoroso che spiega, secondo la ricostruzione dei vigili del fuoco, la presenza di azoto nella vasca. Il gas non esce dai tubi gialli, non vi è perdita lì.
L’azoto si sprigiona dalla valvola del serbatoio. E anche qui il motivo è semplice: quella valvola è difettosa. Insomma non funziona bene e non chiude a dovere l’azoto che, normalmente, vien usato per saturare l’interno della campana per evitare che l’alluminio si ossidi con l’ossigeno. Naturalmente si tratta di una variante non calcolabile da parte degli operai. C’è poi un altro dato che se pur non centrale aiuta gli investigatori a disegnare il quadro: la campana utilizzata per scaldare l’alluminio risale agli anni Ottanta. Oggi, infatti, esistono macchinari più sicuri dove il serbatoio e i tubi del gas sono collocati esternamente. Questa la ricostruzione in mano agli investigatori.
Un particolare in più: la manutenzione all’impianto prodotto dalla ditta austriaca Ebner risale a soli due mesi fa. Anche questo elemento è in mano ai magistrati che da ieri procedono per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Allo stato è indagato solo l’ingegner Roberto Sanmarchi come rappresentante legale della Lamina. Nei prossimi giorni sarà disposta dalla Procura un accertamento tecnico al quale parteciperanno pure i legali della ditta.