L’iscrizione del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini sul registro degli indagati della Procura di Agrigento per le ipotesi di reato di sequestro di persona, abuso d’ufficio e arresto illegale sul caso della nave Diciotti e dei 177 migranti bloccati a bordo per dieci giorni, è una buona notizia per tre motivi. 1) Dimostra che in Italia esiste ancora una magistratura indipendente che fa rispettare le leggi senza farsi intimidire da minacce e insulti né guardare in faccia nessuno, nemmeno uno dei leader politici più potenti e popolari del momento. 2) Traccia attorno al governo un perimetro ben preciso, quello della legalità, che non può essere valicato da nessuno, tantomeno da chi le leggi le fa e dev’essere il primo a osservarle. 3) Avverte i nuovi governanti, casomai qualcuno se ne fosse scordato, che l’Italia è uno Stato di diritto e raccogliere tanti voti nelle urne e tanti consensi nei sondaggi non li esime dal rispetto della Costituzione, su cui peraltro hanno solennemente giurato non più tardi di 85 giorni fa.
Spesso, in casi simili, si parla di “atto dovuto” della magistratura, giocando con le parole. Ma le iscrizioni di indagati sono atti dovuti in presenza di denunce contro qualcuno, che i pm sono obbligati a verificare. In questo caso, il pm Patronaggio non s’è mosso su alcuna denuncia contro Salvini: ha proceduto d’ufficio, sua sponte, come la legge gli imponeva dinanzi a un caso eclatante dettato dalla cronaca che aveva sollevato durissime critiche dal mondo del diritto. Era già accaduto – come abbiamo raccontato ieri – quando altri ministri dell’Interno, prima Roberto Maroni e poi Beppe Pisanu, ordinarono di fatto dei respingimenti collettivi di migranti in mare, senza consentire loro di chiedere asilo e poi di ricorrere contro l’eventuale diniego, e furono denunciati da esponenti della sinistra. Trattandosi di decisioni assunte da membri di governo nell’esercizio delle loro funzioni, il fascicolo passò al Tribunale dei ministri, che archiviò entrambi i casi perché li ritenne scriminati dalla loro natura di scelte politiche, discutibili finché si voleva, ma “discrezionali” e “insindacabili”, oltreché prive di dolo, cioè dell’intenzione di danneggiare i migranti (i ministri – si ritenne – volevano invece combattere il traffico di esseri umani e l’immigrazione clandestina). Ma quelle condotte, penalmente irrilevanti a carico di singoli, finirono alla Corte europea per i diritti dell’uomo: questa condannò l’Italia a risarcire con 15mila euro ogni migrante respinto, per aver violato le convenzioni e i trattati europei che proibiscono i respingimenti di massa.
Ora è probabile, oltreché ragionevole, che l’inchiesta su Salvini faccia la stessa fine: archiviazione (rapida) per il ministro e il suo capo di gabinetto e (lungo) “processo” a Strasburgo contro l’Italia.
Perciò chi s’illude di lucrare vantaggi politici cavalcando l’indagine su Salvini resterà presto deluso: sia il pregiudicato B. che gli dà la sua solidarietà pelosa, sia il centrosinistra che chiede le dimissioni. Un politico indagato per mafia, tangenti, frodi fiscali, appalti truccati, favoritismi, nepotismi, prostituzione minorile (non ci siamo fatti mancare niente), paga pegno dinanzi agli elettori. Ma Salvini “indagato volontario” per aver fatto quel che aveva sempre promesso (anzi minacciato) contro i migranti, non perde un voto, anzi rischia di guadagnarne qualcuno indossando l’aureola del martire. Anche nel caso improbabile che venga rinviato a giudizio e condannato. Infatti Salvini ha fatto di tutto per farsi indagare, rivendicando spavaldamente e spudoratamente i suoi ordini illegittimi sulla nave Diciotti per fare la vittima e illudere la gente di aver fatto ciò che non potrà mai fare: chiudere i porti, che invece restano fortunatamente aperti (mentre lui teneva in ostaggio i 177 migranti nel porto di Catania, ne sbarcavano altrettanti in altri scali italiani all’insaputa dei più).
Ben altre sono le indagini che potrebbero preoccuparlo: tipo quella sui 49 milioni di fondi pubblici rubati dalla Lega bossiana e fatti sparire anche in seguito. E ben altri sono i fatti che potrebbero fermare il suo “sfondamento” oltre lo zoccolo duro leghista toccato il 4 marzo: quelli che, come il disastro di Genova, evidenziano le vere emergenze dell’Italia, ridimensionando quella dei migranti che – grazie al crollo degli sbarchi (merito di Minniti e del governo Conte) – è per ora un non-problema. Senza contare la stanchezza che comincia a serpeggiare in una parte dell’opinione pubblica: quella che continua a simpatizzare per i giallo-verdi, ma si sta stufando della strategia della tensione quotidiana del Cazzaro Verde, sempre a caccia di pretesti per litigare con qualcuno, come i bulli di periferia. E apprezza sempre di più lo stile tranquillo di chi, come il premier Conte e altri suoi ministri, lavorano per cambiare le cose senza urli né strappi. Riuscendo persino a rispettare la Costituzione.