Hanno fatto un passo indietro: simbolico, perché giuridicamente “la rinuncia all’elezione” non vale nulla. Però è quello che voleva il M5S, per limitare i danni. E per i due parlamentari è la via per allentare le pressioni, dopo giorni in cui erano spariti da Facebook e dai comizi, irreperibili anche per i colleghi. Il senatore Carlo Martelli e il deputato Andrea Cecconi, già capigruppo del M5S, ed entrambi ricandidati come capilista alle Politiche, erano fuori dai radar da domenica scorsa. Ossia da quando il blog delle Stelle ha reso noto che “non erano in regola con le rendicontazioni”, le restituzioni regolari di metà dello stipendio e dei rimborsi inutilizzati a cui sono tenuti tutti i parlamentari del M5S, per alimentare un fondo per le piccole e medie imprese. Entrambi, spiegava il blog, hanno restituito le somme mancanti e sono stati deferiti al collegio dei Probiviri.
Ma quello che non è stato detto, e che il Fatto aveva rivelato lunedì scorso, è che a tutti e due era stato chiesto di rinunciare “alla candidatura e all’elezione”. Ovvero di sottoscrivere la stessa dichiarazione firmata da Emanuele Dessì, candidato nel Lazio, finito nella bufera per un post in cui raccontava di “aver menato per la terza volta un romeno” e per la casa popolare in cui vive a Frascati, dietro un affitto da 7 euro mensili (regolare). Martelli e Cecconi, parlamentari uscenti di peso, pagano invece l’aver restituito meno di quanto dichiarato. Una “colpa” che il Movimento avrebbe scoperto grazie a un servizio de Le Iene, ancora non andato in onda, ma di cui i 5Stelle sono stati informati. Da qui i controlli, l’apertura del procedimento disciplinare e la linea dura del Movimento, che ha sottoposto a tutti e due il modulo Dessì: privo di effettivo valore giuridico, ma invocato dai vertici per dare un segnale. E così Cecconi ha firmato, come ha chiarito lui stesso su Facebook con un post in cui parla di “ritardo nei versamenti per motivi di natura personale, che nessuno può essere in grado di giudicare, e sui quali non mi dilungo”. Per poi assicurare: “Ho già deciso di rinunciare alla mia elezione, il 4 marzo cederò il passo e andranno avanti gli altri candidati che trovate nel listino”. E lo stesso ha fatto Martelli, scrivendo anche lui Facebook di aver rinunciato “nei giorni scorsi” all’elezione, e attribuendo “a seri motivi personali” il ritardo nei pagamenti. Per poi aggiungere una considerazione scritta anche da Cecconi: “Non c’è nessuna legge che ci obbliga a dimezzarci lo stipendio”.
Domenica il blog, nel mettere all’indice le mancate restituzioni, non entrava nei dettagli. D’altronde, dalla data di ingresso dei Cinque Stelle in Parlamento, il Movimento ha a disposizione uno strumento pubblico che dovrebbe garantire la trasparenza dei rendiconti dell’intero gruppo parlamentare: ogni mese, deputati e senatori pubblicano sul sito www.tirendiconto.it l’elenco delle cifre restituite e allegano a corredo copia del bonifico effettuato.
Nel caso di Cecconi, a oggi, risultano non rendicontati i mesi di novembre e dicembre 2017 (lo stesso vale per molti suoi colleghi: le restituzioni arrivano spesso con settimane di ritardo). Il profilo di Martelli invece è completamente verde, il che significherebbe che è tutto a posto. Spulciando nei file, però, si scopre che dei 47 bonifici effettuati da marzo 2013, solo in 17 casi compare la parola “eseguiti”: sono quelli degli ultimi due anni. I precedenti 30 sono bonifici “inseriti” o “richiesti”: è la dicitura che compare quando la banca prende in carico un ordine di pagamento, il correntista ha poi un lasso di tempo in cui la disposizione può essere revocata.
di Paola Zanca e Luca De Carolis