Oltre trent’anni di storia del ponte. E una prima certezza: il viadotto Morandi, crollato la mattina del 14 agosto, era un malato cronico. Negli atti a disposizione della Procura di Genova, infatti, sono diversi i documenti che, periodicamente, hanno dato l’allarme. “È chiaro – ragiona una fonte investigativa – che più troviamo questi dati, più diventa evidente che in molti sapevano delle criticità”.
L’analisi dei documenti corre spedita. Sul tavolo anche corrispondenze informali di Autostrade. “È qui che abbiamo la ragionevole certezza di individuare altre prove”. Si pensa a un allarme specifico sulla tenuta strutturale. Anche per questo l’inchiesta coordinata dal procuratore Francesco Cozzi dovrà tornare indietro di qualche anno. Circa cinque, viene spiegato. Si procede per i reati di disastro colposo, omicidio colposo plurimo e attentato colposo alla sicurezza dei trasporti. E lo si fa in fretta perché incombe l’incidente probatorio da fare il prima possibile anche in vista della demolizione. Allo stato, quello che magistrati e Guardia di finanza hanno ben chiaro sono due elementi: da un lato la dinamica del crollo cristallizzata nei reperti e in un video; dall’altro la catena di comando che ha seguito la stesura e l’approvazione del progetto “migliorativo” di retrofitting di circa 26 milioni di euro per le pile 9 (quella crollata) e 10. Progetto che doveva partire a settembre. Dieci nomi, che allo stato non risultano indagati, ma “che – spiega una seconda fonte – erano, secondo noi, a conoscenza di alcuni problemi del ponte e dell’importanza del progetto”.
Iniziamo dalla fine e da una data, l’11 giugno scorso, giorno in cui Vincenzo Cinelli, responsabile della Direzione generale di vigilanza sulle concessioni autostradali del Mit (ministero Infrastrutture e Trasporti), dà l’ok definitivo al progetto. Prima ancora, e subito dopo lo studio del Politecnico di Milano dell’ottobre 2017 che riscontra criticità specifiche sugli stralli, i manager di Autostrade danno il via all’iter. Il progetto, ricostruisce la polizia giudiziaria, parte dall’Ufficio manutenzione e interventi diretto da Michele Donferri, che già nei primi anni Novanta partecipa all’intervento sugli stralli della pila 11. È evidente che vi sia subito una condivisione tra Donferri (sentito in Procura come persona informata sui fatti) e il capo del tronco di Genova Stefano Marigliani. Il progetto prevede costi importanti che necessitano dell’intervento del Cda.
Da qui l’interessamento attivo dei vertici di Autostrade, a partire dall’ad Giovanni Castellucci, dal presidente Fabio Cerchiai e da Paolo Berti, direttore centrale delle operazioni. Ovviamente i costi vanno valutati. Per questo viene coinvolto Amedeo Gagliardi, direttore legale. A questo punto la stesura del progetto viene affidata alla controllata di Autostrade, Spea Engineering. Le sue criticità e gli obiettivi migliorativi degli stralli finiscono sul tavolo di Massimiliano Giacobbi, responsabile del progetto per Spea.
Nel frattempo viene pubblicato da Autostrade il bando di gara. Responsabile unico del procedimento è Paolo Strazzullo di Autostrade. È lui deputato a ricevere e studiare le offerte. A febbraio, poi, il fascicolo “migliorativo” viene analizzato dal Comitato tecnico del provveditorato. Il provveditore interregionale, Roberto Ferrazza, anche presidente del Comitato, lo licenzia in marzo con alcune critiche. E si arriva così al ministero e al dottor Cinelli, firmatario dell’atto finale. A ben vedere, poi, sotto la sua direzione vi sono altri dirigenti deputati alla vigilanza sulle concessioni. Tra loro Bruno Santoro, nominato membro della Commissione ispettiva del ministero proprio per far luce sul crollo. La direzione della vigilanza del ministero, è il ragionamento degli investigatori, potrà essere la chiave per comprendere se l’indagine si allargherà in modo consistente anche ai funzionari di Stato.