Il caso Consip è diventato una mina pronta a far saltare in aria il potere renziano il 19 dicembre 2016. Quel giorno è stato sentito come persona informata dei fatti l’amministratore di Consip Luigi Marroni. L’uomo che Matteo Renzi ha scelto nel giugno del 2015 per guidare la prima stazione appaltante d’Italia, appena quattro giorni prima, aveva fatto rimuovere grazie a un’apposita bonifica le microspie celate dai carabinieri del Noe nel suo ufficio.
I pm di Napoli insieme ai carabinieri e ai finanzieri gli chiedono perché lo abbia fatto e Marroni risponde così: “Perché ho appreso in quattro differenti occasioni da Filippo Vannoni, dal generale Emanuele Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Luca Lotti di essere intercettato”.
Il Fatto aveva già anticipato i contorni delle soffiate ma a leggere nel dettaglio le accuse di Marroni si resta a bocca aperta.
“Vannoni (amico di Matteo Renzi e presidente della municipalizzata delle acque di Firenze e dei comuni toscani, Publiacqua, ndr) mi ha detto due volte, prima delle ferie estive e alla fine di novembre, di fare attenzione alle conversazioni telefoniche in quanto il mio telefono era sotto intercettazione insieme ad altri in una vicenda di cui non mi fece menzione né io gliene chiesi”.
Marroni deve essere un po’ duro d’orecchi e allora, come racconta ai magistrati, arriva il comandante dei carabinieri della Toscana a ribadire il concetto: Emanuele Saltalamacchia. “Con il generale intercorre un rapporto di amicizia da diversi anni”, spiega Marroni, “e anche lui mi disse che il mio telefono era sotto controllo, anche in questo caso l’informazione la ricevetti prima dell’estate 2016. Ho incontrato Saltalamacchia di recente e gli ho chiesto se il mio cellulare fosse ancora sotto controllo ma lui mi disse che non aveva avuto aggiornamenti”.
Visto che Marroni si mostra ancora poco ricettivo, sempre a sentir lui, ecco la terza soffiata dal presidente della Consip: “Luigi Ferrara mi ha detto di essere intercettato lui stesso e che anche la mia utenza era sotto controllo per averlo appreso direttamente dal comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette; la notizia arrivò non ricordo con precisione quando, tra luglio e settembre 2016. Non ad agosto”. Come è noto Del Sette ha negato e il presidente Ferrara ha detto di avere ricevuto solo un generico monito a stare attento a Romeo dal generale Del Sette, la cui posizione sarà archiviata probabilmente dalla procura di Roma.
Più difficile la posizione di Luca Lotti. Marroni punta il dito con precisione sul sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Renzi che lo ha nominato: “Sempre a luglio 2016 durante un incontro Luca Lotti mi informò che si trattava di un’indagine che era nata sul mio predecessore Domenico Casalino (non indagato, ndr) e che riguardava anche l’imprenditore campano Romeo. Delle intercettazioni ambientali nel mio ufficio l’ho saputo non ricordo se da Lotti o da un suo stretto collaboratore”. Come rivelato sul Fatto da Davide Vecchi il ministro dello sport si è presentato ai magistrati romani per smentire la versione di Marroni.
Il giorno dopo la testimonianza di Marroni, il 21 dicembre 2016, viene sentito a Napoli anche Vannoni che inizialmente dice di non ricordare bene come aveva saputo dell’inchiesta. I pm di Napoli Henry John Woodcock e Celeste Carrano allora gli contestano quanto detto su di lui da Marroni: “Anche Filippo Vannoni, consigliere economico della precedente presidenza del Consiglio, una prima volta subito prima dell’estate del 2016 e una seconda volta una ventina di giorni fa, mi ha detto e ribadito che avevo il telefono sotto controllo; al riguardo il Vannoni non mi ha detto da chi lo aveva appreso”. Alla fine, posto con le spalle al muro dai magistrati che gli ricordano i rischi della falsa testimonianza e il suo obbligo di dire tutta la verità, Vannoni sostanzialmente conferma: “Fu Luca Lotti a dirmi che c’era una indagine su Consip, dicendomi di stare attento”. Non basta. Vannoni va oltre e mette a verbale anche il nome di Matteo Renzi. Ammette di avere ricevuto un allarme su Consip proprio dal premier in carica in quel momento. Molto vagamente. “Ricordo che il presidente Renzi mi diceva solo di ‘stare attento’ a Consip”. Solo. Come a differenziare i ruoli, i gradi di conoscenza e le responsabilità della soffiata tra il numero due e il numero uno della cordata politica a cui deve così tanto.
Luca Lotti si presenta il 27 dicembre in procura per dire che è tutto falso che lui nulla sapeva dell’inchiesta Consip e che quindi nulla in merito avrebbe potuto riferire ad alcuno. Lotti è un indagato e ha facoltà di mentire o di non ricordare. Per esempio non ha raccontato ai pm spontaneamente che conosceva bene Carlo Russo e che lo raccomandò a Michele Emiliano per un incontro. Mentre Marroni, che è un testimone e ha l’obbligo di dire la verità, è loquace come un cardellino davanti ai carabinieri e alla Guardia di finanza.
Marroni racconta nella sua testimonianza di avere conosciuto Tiziano Renzi anni prima, quando Matteo era sindaco di Firenze. Durante il Palio di Siena il padre di Marroni e il babbo del sindaco, Tiziano, fraternizzano. Poi Marroni, negli anni in cui Matteo sale sul proscenio nazionale, incontra più volte il padre di Matteo Renzi a Firenze in vari eventi culturali e sociali. Dopo la sua nomina alla Consip, a giugno 2015, Tiziano Renzi a settembre si fa vivo. “Mi chiese di incontrarlo di persona, nella zona del Bargello. Mi disse che voleva chiedermi di ricevere un suo amico imprenditore: Carlo Russo che voleva partecipare a delle gare d’appalto indette da Consip; Tiziano Renzi mi chiese di fare il possibile per assecondare le richieste di Russo e di dargli una mano perché era un suo amico”.
Marroni si mette subito a disposizione: “Risposi che avrei ricevuto Russo e lo avrei ascoltato. Dopo una quindicina di giorni Russo venne nella sede della Consip e io lo ricevetti nel mio ufficio da solo. Mi disse in concreto che tramite una società, di cui non ricordo il nome ma disse che era a lui riferibile, stava partecipando alla gara d’appalto indetta da Consip che riguardava il facility management, credo proprio la gara Fm4 di cui oggi avete richiesto gli atti”.
Nella testimonianza di Marroni c’è questo strano vuoto di memoria: il manager Consip non ricorda il nome della società caldeggiata da Russo, ancorché sia un amico del babbo del premier che lo ha nominato.
Prosegue Marroni: “Russo per rafforzare la sua richiesta, mi disse in modo esplicito che questo affare non interessava solo lui ma dietro la società che lui stava rappresentando vi erano gli interessi di Denis Verdini, facendomi capire chiaramente che avrei dovuto impegnarmi nel senso da lui prospettato, ribadendomi che io ricoprivo questo incarico grazie alla nomina che mi era stata concessa dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Devo ammettere che questa richiesta – prosegue Marroni – mi turbò molto perché mi rendevo conto che se non avessi dimostrato di agevolare l’azienda segnalatami dal Russo avrei rischiato il posto ma di contro ero fortemente intenzionato a non dare seguito alla richiesta in quanto palesemente contraria alla legge”.
Dopo avere fatto questo proclama che fa sperare in un comportamento da “un giorno da leone”, Marroni più prosaicamente, come direbbe Massimo Troisi, opta per i classici 50 giorni da orsacchiotto: “Ad ogni buon modo riferii al Russo che, riguardo la sua richiesta, mi sarei attivato ma nella realtà nulla feci”. Insomma il furbo Marroni traccheggia ma si macera: “Vi confesso che mi sentivo veramente frustrato da tale richiesta e il mio senso di prostrazione è durato per diversi mesi anche perché non volevo condizionare né chiedere alcunché alla commissione e ho quindi atteso gli eventi non dando seguito alla richiesta, pur avendo sempre in mente del livello istituzionale altissimo da cui proveniva la richiesta”. Non finisce qui: “A distanza di qualche mese il Russo mi richiese di incontrarlo nuovamente e venne di nuovo presso il mio ufficio. Nella circostanza credo non trovando riscontri dopo il suo primo intervento di cui vi ho parlato, mi disse nuovamente che dovevo impegnarmi e di provvedere a seguire la gara d’appalto in modo da garantirgli l’aggiudicazione; Russo mi disse nuovamente che Denis Verdini e gli amici ci tenevano molto a questa gara e che contavano di vincere. Russo mi fece capire che se io li avessi agevolati sarei stato reputato affidabile da lui e dai suoi amici Tiziano Renzi e lo stesso Verdini e che quindi mi avrebbero tenuto in considerazione in futuro per più prestigiosi incarichi”. Siamo, è bene ricordarlo nell’era in cui il governo Renzi era in sella grazie ai voti dei verdiniani.
In quella fase seguono altri incontri e alla fine, racconta Marroni, “Russo mi ribadì che sia Verdini che Tiziano Renzi davano per scontato che io gli garantissi tale aggiudicazione e che quindi non potevo sbagliare”. Spiega Marroni: “Mi trovavo di fronte ad un vero e proprio ricatto che era ancor più spregevole perché non mi dava scelta se non rinunciare al mio posto di lavoro”. E Tiziano Renzi? Marroni sempre più prostrato, a suo dire almeno, lo incontra a piazza Santo Spirito a Firenze. Non va meglio: “Tiziano Renzi mi ribadì di aiutare il Russo nella gara d’appalto” perché “era una persona a lui molto vicina”.
La lettura dei verbali di Marroni e Vannoni fa sorgere una questione politica evidente. Vannoni è presidente della società mista Publiacqua, controllata, insieme ai privati capeggiati da Acea, dal comune di Firenze e da altri enti locali delle province vicine. Nonostante sia uno dei due grandi accusatori di Lotti, Vannoni resta seduto sulla poltrona da 87mila euro all’anno senza che Lotti lo denunci per calunnia e senza che il sindaco renziano Dario Nardella batta ciglio.
La stessa sorte è toccata a Luigi Marroni. Ieri l’amministratore di Consip si è fatto intervistare dal Corriere della Sera per dire che il ministro Pier Carlo Padoan gli ha confermato la fiducia. Non si riesce a comprendere come possa restare al suo posto dopo essere stato accusato di avere calunniato Luca Lotti dallo stesso ministro, inchiodato alla poltrona come lui.
Marroni dovrebbe dimettersi per i suoi troppi incontri e pranzi con i politici e i loro famigli interessati alla gara più importante mai bandita in Europa. Sostiene di averli sempre incontrati senza mai concedere nulla. Resta il fatto che le imprese care a Denis Verdini e agli amici del padre di Tiziano Renzi sono risultate prime in tanti lotti pari a più di metà della torta.