“La musica è il rumore che pensa”, scrisse Victor Hugo. All’ultimo Sanremo, tempio del leggero e del kitsch sentimentale, è successo qualcosa: a metà della seconda serata, un giovane uomo in jeans e maglioncino arancione sale sul palco insieme a un ballerino con la maschera da scimmia. Dopo un minuto, la canzonetta – selvatica, plastica, tropicale – ha già vinto. Adesso Francesco Gabbani dice di averlo “sentito succedere”, quel piccolo prodigio, la magia semplice, teatrale, di una canzone che spiccava il volo. “Senza andare su dimensioni mistiche, credo nella questione delle frequenze e delle vibrazioni. Sentivo che qualcosa tornava, un’armonia e una risonanza”. La canzone, scritta con Filippo Gabbani, Fabio Ilacqua e Luca Chiaravalli, è una calamita per neuroni, un giocattolo mentale che nella confezione luccicante cela un congegno di allegorie e ironia. Renzi la fa suonare alla direzione del Pd, prima dell’Inno di Mameli. Il Cardinal Ravasi ne twitta l’incipit. La scimmia nuda, protagonista goffo di una storia di contro-evoluzione, diventa un simulacro collettivo. Il libro di Desmond Morris scala le classifiche. Intervistato da Repubblica, l’etologo paragona Gabbani a John Lennon e Bob Dylan.
“Mi piaceva pensare che dietro a questo divertimento iniziale ci fosse la possibilità di riflettere sulle nostre esistenze”, dice Gabbani. La canzonetta, antiretorica, antipatetica, invece che la solita storia di consolanti dolori dice all’ascoltatore: “Homo Sapiens, rialzati”. Perché “l’evoluzione inciampa” e quando “la vita si distrae cadono gli uomini”. Mentre il motivetto azzera il distacco critico, il testo inocula una critica ironica in tutti noi “tuttologi col web/ coca dei popoli/ oppio dei poveri”. “Non è nemmeno un’involuzione: siamo superevoluti dal punto di vista tecnologico ma siamo uomini delle caverne. I moventi sono sempre i soliti. Siamo affascinati dal potere”.
La sera dopo Gabbani è vestito da scimmia, la terza volta da damerino: scatti dell’evoluzione “inciampata”. “Ho deciso i miei outfit lì per lì. Ho capito che dovevo salire vestito da scimmia e la scimmia vestita da me”. Nietzsche: “Una volta eravate scimmie, e anche adesso l’uomo è piú scimmia di qualsiasi scimmia al mondo”: “Bellissima, la metto nella prossima canzone”.
Allora, l’antidoto al cattivo karma: “dilemmi inutili” trovano “risposte facili” nei motori di ricerca; lo stress si cura con “lezioni di Nirvana” e yoga da supermercato, già irriso da Battiato in Magic Shop. Gabbani: “L’occidentale si approccia a queste filosofie in modo superficiale, per moda. Faccio il saluto al sole ma come esercizio di stretching”.
Mozart diceva che le sue arie dovevano essere cantate dai fornai. “La prima pop star della storia. La musica classica poteva essere riprodotta anche fischiettandola, ma il suo tessuto armonico è complesso. La semplicità dei temi melodici del pop rende fruibili argomenti complessi”. È questo che ha reso Occidentali’s karma una specie di intramuscolo per gente di età e cultura diverse? E l’ha capita meglio Antonella Clerici che fa il balletto della scimmia in un varietà nazionalpopolare, o il teologo del Cortile dei Gentili, Ravasi, che twitta “Essere o dover essere/ il dubbio amletico contemporaneo”? “È il potere della musica”, quello che era pure degli scherzi musicali dei madrigalisti: far sentire al colto e all’inclita uno choc, la contraddizione della vita, l’urlo dell’umano. “Chi scrive canzoni deve avere la capacità di cogliere questo momento. Di capire quando arriva. È una visione un po’ romantica ma le canzoni sono già lì”. Come l’opera per Michelangelo: “Io sono di Carrara. Quando Michelangelo vide le pareti di marmo gli venne l’ispirazione per un Mosè di dimensioni enormi, tipo i volti dei presidenti in America. Gli dissero di no, perché avrebbe sprecato marmo. Pensa, oggi i carrarini si sarebbero ritrovati il Mosè in forma colossale”.
Gli chiedo se teme di diventare come la scimmia che si esibisce in Una relazione per un’accademia di Kafka. “Se ci rifletto, un po’ sì. Ma sono un musicista e credo di poter offrire degli aspetti di espressione artistica che vanno al di là della performance sanremese, con questo gioco della scimmia”.
“Cercasi umanità virtuale sex appeal” vuol dire che noi “internettologi” stiamo consumando le relazioni umane, l’erotismo e l’empatia? “Assolutamente sì. Quello che mi fa paura dei social è che danno la possibilità di mostrare ciò che non si è. Ti devo spiegare dove risiede per me il concetto di sex appeal. Si fonda sull’accettazione dei propri difetti. Un esempio del non veritiero sta nel concetto di selfie”. Tutti “soci onorari al gruppo dei selfisti anonimi”? “Nel selfie fai una sorta di autofiltro, angolazione, luminosità… Già abbiamo due personalità, una sociale e una intima; così ne creiamo una terza, webbistica, e questo è deleterio e non sano”.
Alla fine della lunga conversazione, scopriamo che il verso “la scimmia si rialza” è equivoco: per Gabbani “Non è un messaggio di speranza. Quando la vita si distrae, la sovrastruttura intellettuale cade e l’ha vinta l’istinto animale”. Epperò è confortevole pensare che quando non ce la faremo più a tenere i nostri ritmi potremo ricordare che siamo scimmie. Gabbani ci pensa: “Forse sì. Ci pensiamo superiori agli altri esseri viventi, ma siamo scimmie che ballano”. Sempre Nietzsche: “Potrei credere solo a un Dio che sapesse danzare”. L’essere umano balla, e finché balla, benché scimmia, è divino.