“Rompiamo il silenzio sull’Africa”: è l’appello che padre Alex Zanotelli ha rivolto al “coraggio” di giornali e giornalisti. Troppo spesso – ammonisce – sordi, ciechi e muti dinanzi allo scempio umanitario che dal Sud Sudan alla Somalia, all’Eritrea, ai Paesi del Sahel, al Congo, alla Libia è all’origine dell’esodo biblico di migranti “che rischiano la propria vita per arrivare da noi”. Fuga che alimenta quella “paranoia dell’invasione” cavalcata dai partiti xenofobi.
Giusto, ma chiedo a padre Zanotelli: non ritiene che questa offensiva benefica dell’informazione dovrebbe essere reciproca? Diffusa a casa nostra, ma anche e soprattutto a casa loro affinché sappiano con certezza a cosa vanno incontro? È la stessa domanda che rivolgo a Marco Minniti, l’ex ministro degli Interni che, lunedì, sul Foglio ha spiegato, sulla base di conoscenza ed esperienza e non di proclami, perché l’immigrazione non è una “emergenza” (come vorrebbero farci credere l’attuale ministro Matteo ‘selfie’ Salvini e soci) bensì un fenomeno “epocale”, oltreché una “grande questione strutturale e dunque complessa”.
Giusto, ma può dirci Minniti cosa è stato fatto di “strutturale” e di “complesso” per informare, sul luogo, quelle masse in fuga riguardo alle altissime probabilità di andare incontro all’inferno in terra e in mare? Proprio ieri, nell’articolo di Federico Fubini sul Corriere della Sera abbiamo letto (fonte Ispi, Oim-migrazioni, Unhcr) che – con la percentuale record del 9% nell’ultimo mese – “per chi s’imbarca in cerca di un futuro in Europa, non era mai stato tanto probabile morire in mare durante la traversata dalla Libia”.
Qualche cinico sovranista potrebbe pensare che, dati alla mano, gli “invasori” hanno pur sempre nove probabilità su dieci di giungere vivi sulle nostre coste, e non è un piccolo problema. Si rassicurino costoro poiché in questo atroce gioco dell’oca si può non arrivare mai a imbarcarsi e anche ritornare al via. A scelta, i partenti potranno morire nel deserto o finire i propri giorni torturati e stuprati nelle gabbie degli aguzzini libici (che l’Italia sponsorizza con motovedette e pingui finanziamenti). Oppure possono diventare loro schiavi in cambio della vita. I più “fortunati” saranno rispediti nei luoghi d’origine, a vegetare per il resto dei propri giorni dopo essersi svenati inutilmente, preda dei creditori.
Poi ci saranno i vincitori della premiata crociera Salvini-Toninelli che, raccolti da qualche losca nave Ong potranno vagare per il Mediterraneo senza meta, finché l’Europa dei popoli (armati e barricati in casa) si dimenticherà anche di essi. Ripeto la domanda: questa umanità vagante che cognizione ha di tutto ciò? Chi glielo ha spiegato? Chi li ha informati? Quale massiccia campagna di comunicazione è stata intrapresa da chi si riempie la bocca col mantra ipocrita: aiutiamoli a casa loro? Sul Fatto, Andrea Valdambrini ci ha raccontato di come per convincere i più disperati a indebitarsi (un viaggio può costare dagli 8 mila ai 15 mila euro o più) basta la trappola di una promessa di lavoro assicurato.
Oppure si agisce attraverso “una ben consolidata narrativa del migrante che ce l’ha fatta, e che invia selfie agli amici – magari vicino a un monumento di una città europea o a una macchina di lusso che finge sia la sua” – postandoli sui social”. Ecco, onorevole Minniti, quale contro-informazione è stata messa in campo dall’Europa della ragione, contrapposta a quella della paura? Ecco, padre Zanotelli, è vero che noi giornalisti (e per primo chi scrive) dovremmo reagire alla pigrizia del cuore e a quella dell’intelletto. Ma di fronte alla strage senza fine cosa è diventato più giusto? Fermare chi parte? O piangere chi muore? Aiutateci a capire.