“Le mattinate di primavera a Firenze sono una delle cose più belle del mondo”. Matteo Renzi consegna questo imprescindibile pensiero a Facebook, mentre le trattative per un nuovo governo si infittiscono e non risolvono. Facendo notare la sua assenza, il senatore di Scandicci, ricorda che il disgelo primaverile dipende da lui. Che pare ben intenzionato a rientrare in gioco, per sparigliare ancora le carte. “Quando il mandato della Casellati fallirà, se il presidente della Repubblica darà il mandato esplorativo a Roberto Fico, il Pd andrà a dirsi disponibile a un governo con i Cinque Stelle, con la benedizione di Renzi”. A raccontarlo è un alto dirigente dem. Ma nei palazzi della politica, ieri, lo scenario va per la maggiore. Si racconta che l’ex segretario avrebbe fatto arrivare per interposta persona qualche segnale a Sergio Mattarella in questo senso.
Da qui a lunedì, quando dovrebbero iniziare le consultazioni di Fico, il tempo è lungo e le incognite tante. Davvero l’ex premier sarebbe pronto a un cambio di strategia così forte? Quel che è certo è che a questo punto il pressing su di lui – dentro e fuori il partito – sta diventando insostenibile.
L’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è ormai convinto che il Movimento sia diventato il minore dei mali. Andrea Orlando, Dario Franceschini, Francesco Boccia, ma anche Maurizio Martina, stanno lavorando per costruire un terreno di dialogo con il Movimento ormai da settimane. Ma a pensare che sarebbe il caso di andare almeno a scoprire le carte sono ormai in molti, anche tra i più vicini all’ex premier. Ieri sul Foglio c’era un’interessante riflessione di Alfredo Bazoli: “È un rischio enorme per il Pd, perché rischiamo di essere il vaso di coccio: se le cose vanno bene è merito loro, se le cose vanno male è colpa nostra. Però riflettendo su questo stallo, mi sono chiesto se esista un’alternativa migliore per il Pd e per il Paese, e no, non c’è”. Ora Bazoli, per quanto atipico, perché autonomo, è un renziano della prima ora. L’intervista non è fatta sotto impulso del quartier generale dell’ex premier, ma è comunque un segnale.
Renzi il Pd sulla linea del no a priori non lo tiene più. Tanto è vero che nella minoranza stanno pensando di chiedere una direzione per discutere. E dunque l’ex segretario – che mantiene un potere di veto – non può stare fermo. Quello che sta maturando è di mettere una tale serie di “se” e di “ma” da farla fallire un’eventuale intesa tra Cinque Stelle e Pd. Attribuendo il fallimento agli altri. Primo: niente premiership a Di Maio. E Fico? È il nome su cui sta lavorando la minoranza, difficile che lui dia l’assenso. Secondo: il programma. Ieri Dario Parrini ricordava la distanza abissale tra Pd e M5S, tacciando di propaganda il reddito di cittadinanza e l’abolizione della Fornero. E per i renziani il Jobs act non andrebbe rimesso in discussione. Insomma, questa volta una disponibilità Renzi la darebbe pure, ma alzando il prezzo in maniera insostenibile. Tanto è vero che ieri i suoi continuavano a smentire l’apertura: “Io sono particolarmente divertito da queste ricostruzioni che ci vedono al governo. Sono cose di straordinaria fantasia”, nella versione di Ettore Rosato.
Quel che è vero, però, è che i giochi si faranno tutti in una terza fase, dopo il fallimento dell’esplorazione di Fico. Se continua la rottura tra Lega e Cinque Stelle, l’ipotesi di un terzo nome e di un governo istituzionale, con i voti di Cinque Stelle e di tutto il Pd (compreso Renzi), diventa concreto, basato su una serie di punti programmatici e con una durata di partenza di un anno. Così come rientrerebbero in gioco altre ipotesi: come quella di un governo guidato dal numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, che andrebbe in Parlamento a chiedere i voti di tutti. E in molti scommettono che arriverebbero anche quelli del Pd.