Il “ristoro” per i 300mila piccoli investitori coinvolti nei crac delle banche finite in liquidazione coatta dopo il 16 novembre 2015 e prima del 2018 passa per l’emendamento 1.1614 alla legge di Bilancio. I 525 milioni stanziati per il Fondo indennizzo risparmiatori per ciascun anno dal 2019 al 2021 andranno a persone fisiche, imprenditori individuali o coltivatori diretti (compresi eredi e aventi causa), come anche di organizzazioni di volontariato, associazioni sociali e microimprese con meno di 10 occupati e fatturato o bilancio non superiori a 2 milioni, ai quali le azioni od obbligazioni subordinate bancarie siano state vendute con “violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza” (misselling) indicati dal Testo unico della finanza.
L’indennizzo per gli azionisti sarà pari al 30% e per i bondisti subordinati al 95% dell’investimento, entro 100mila euro a testa al netto di eventuali rimborsi ricevuti a titolo di transazione “nonché di ogni altra forme di ristoro, rimborso o risarcimento”. A gestire la procedura non sarà l’Arbitro per le controverse finanziarie della Consob ma il ministero dell’Economia, che dovrà emanare un decreto di nomina della commissione che definirà le modalità di presentazione delle domande e di riparto delle risorse. La priorità sarà data a chi nel 2018 avrà un Isee sotto i 35mila euro.
Le nuove regole arrivano al termine di un lungo negoziato tra le diverse posizioni delle associazioni dei risparmiatori e non pregiudicano la possibilità di portare in tribunale chiunque ha contribuito (anche per omissione) alle vendite scorrette dei titoli. Ma “in base alle regole Ue, per accertare il misselling delle azioni è necessario che un giudice valuti ogni singola posizione consentendo al risparmiatore di accedere al ristoro. In assenza di sentenze o lodi arbitrali, la Ue considererebbe ogni rimborso aiuto di Stato”, spiega l’ex senatore Andrea Augello.
Il rischio è che rimborsi automatici agli azionisti facciano scattare una procedura d’infrazione europea. Un problema concreto che, secondo alcune interpretazioni maliziose, potrebbe tornare utile alla maggioranza di governo (che ha promesso i rimborsi in campagna elettorale): lo stop Ue farebbe slittare sine die i ristori e dunque l’uscita dei fondi pubblici, contenendo il deficit come chiesto da Bruxelles.