Nel corso di un’intervista americana che speriamo non diventi lezione, Beppe Grillo si domanda (non senza ragioni) che cos’è la democrazia quando meno del 50 per cento va a votare. “Se prendi il 30 per cento del 50 per cento, hai preso il 15 per cento. Oggi sono le minoranze che gestiscono i Paesi”. Fin qui l’elenco dei sintomi del male che affligge ormai cronicamente il nostro sistema è condivisibile. Quel che fa drizzare i capelli è la cura: “La democrazia è superata. Probabilmente la democrazia deve essere sostituita con qualcos’altro, magari con un’estrazione casuale. Penso che potremmo scegliere una delle due Camere del Parlamento così. Casualmente”.
Il senso è più o meno quello delle recenti dichiarazioni di Davide Casaleggio alla Verità: “Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile”, ha detto aggiungendo che tra qualche lustro il Parlamento non sarà più necessario.
È indubbio che la crisi economica, come accadde negli anni Trenta del Novecento, con l’aggravante della globalizzazione, abbia infragilito la nostra democrazia in sé e insieme la fiducia dei cittadini in essa. Fiumi di inchiostro sono stati versati sulla rottura del patto governati/governanti senza che questo abbia peraltro spostato di una virgola l’atteggiamento dei politici. Gli esiti possono essere di tutt’altro segno rispetto a 100 anni fa, sempre che invece di distruggere si decida di coltivare gli anticorpi che in un secolo si sono sviluppati, anche “grazie” allo choc dei fascismi.
C’è modo di consentire al popolo di incidere nei processi decisionali incrementando la rappresentanza, integrandola con la partecipazione diretta, senza dimenticare che la mediazione politica è necessaria per mediare le istanze dei cittadini (anche quelle delle minoranze). Prima di tutto – e questo è più di un consiglio all’attuale Parlamento – è necessaria una legge elettorale che ripristini un rapporto vero, diretto, territorialmente sensato, senza trucco e senza inganno, tra elettori ed eletti. Ma di legge elettorale, dopo le polemiche sul Rosatellum sciaguratamente votato anche dalla Lega, non si è più parlato. È sparita dall’agenda, eppure sarebbe la via maestra per ristabilire la fiducia dei cittadini nelle famose istituzioni. La democrazia, come nota Lorenza Carlassare nel suo saggio Nel segno della Costituzione, si può “democratizzare” di più, per esempio aumentando gli strumenti di partecipazione in maniera strutturale.
Un esempio potrebbe essere il débat public sulle grandi opere, istituito in Francia nel 1995: una discussione aperta a tutti e gestita da una commissione terza rispetto agli interessi in gioco. Un altro, il recall dei sistemi canadese e americano, che consiste nella revoca dell’eletto immeritevole (per un numero eccessivo e ingiustificato di assenze).
Ci sono, già previsti dal nostro ordinamento, i dispositivi più classici della democrazia diretta: le leggi d’iniziativa popolare e i referendum. Su quest’ultimo punto si è espresso anche Grillo, ribadendo la volontà di indire una consultazione sull’euro, “un modo per iniziare una conversazione su un ipotetico piano B. (…) Non dico di lasciare l’euro così, ma di lasciar decidere al popolo italiano con un referendum”. Questo, com’è noto, a Costituzione vigente non si può fare. E non è il caso che anche i Cinque Stelle, dopo la meritoria battaglia contro la riforma Boschi, rendano la Costituzione capro espiatorio di limiti che sono prima di tutto della classe dirigente. Senza dire che il referendum è strumento da maneggiare con cautela, perché è in sé maggioritario, è un sì o un no. La cura è più democrazia, non meno.