C’è un fatto importante che lega da anni il gruppo Benetton ad Attilio Befera, per un decennio e fino al 2014 il signore del fisco italiano come capo dell’Agenzia delle Entrate ed Equitalia. E che poi, abbandonate le tasse, è diventato uno dei dirigenti più alti in grado di Atlantia, holding del gruppo Benetton da cui dipende Autostrade per l’Italia. Il fatto in questione è del 2012, riguarda proprio faccende tributarie ed è stato rivelato dall’Espresso: Benetton pagò 12 milioni di euro al fisco e rimpatriò Sintonia, la holding della famiglia che aveva sede in Lussemburgo per evitare ulteriori indagini sulla holding stessa. I Benetton finora avevano fatto credere che quel rimpatrio era dovuto a ragioni prettamente economiche.
La storia parte da un’indagine della Guardia di Finanza di Milano che spulciando i conti Benetton aveva scoperto un caso di estero vestizione, cioè che la holding lussemburghese della famiglia “era una società di comodo creata per minimizzare le tasse sugli utili prodotti in Italia attraverso i pedaggi autostradali”. Per chiudere la partita e forse per evitare ulteriori guai, il gruppo Benetton patteggiò un pagamento con l’Agenzia delle Entrate. Befera a quei tempi era contemporaneamente capo di Equitalia (la riscossione) e dell’Agenzia (gli accertamenti fiscali) e c’è da presumere abbia trattato direttamente lui tutta la partita considerato che di mezzo c’era una faccenda assai delicata, con cifre di rilievo e con implicato uno dei più influenti gruppi economici nazionali. La chiusura di contenzioni così pesanti prevede di solito una dose di discrezionalità da parte del fisco al momento del confronto con il contribuente ritenuto infedele o comunque fuori dalle regole. Dopo essersi dimesso due anni dopo dalle Agenzie fiscali, Befera è passato con i Benetton acquisendo un incarico di fiducia: coordinatore dell’Organismo di vigilanza di Atlantia, ufficio che “vigila sul funzionamento, l’efficacia e l’osservanza del modello di organizzazione, gestione e controllo in riferimento al modello 231”, cioè il Codice etico.
Befera era legato da mille fili al centrosinistra e nel gruppo Benetton ora emerge per importanza nel drappello di manager pescati dagli imprenditori veneti in quell’area, da Francesco Delzio capo delle Relazioni esterne a Simonetta Giordani, entrambi cresciuti intorno a Enrico Letta, la seconda diventata sottosegretario ai Beni culturali nel suo governo. Befera proviene dall’area comunista del centrosinistra che nelle faccende fiscali aveva come nume tutelare Vincenzo Visco. Nel suo ufficio di direttore dell’Agenzia delle entrate al settimo piano del palazzo sulla via Cristoforo Colombo a Roma Befera intratteneva gli interlocutori con alle spalle bene in vista una foto che lo ritrae in compagnia di Ugo Sposetti, dirigente storico del Pci e tesoriere del partito. Quando era ancora un semplice bancario di Efibanca, tentò pure la carriera di dirigente nel sindacato Cgil allora diretto da Angelo De Mattia, il quale sarebbe poi diventato direttore alla Banca d’Italia e braccio destro del governatore Antonio Fazio.
A metà degli anni Novanta del secolo passato entrò nella agguerrita pattuglia del Secit, gli ispettori del fisco tra cui spiccava Salvatore Tutino per un breve periodo assessore comunale a Roma con la sindaca Raggi. Una volta diventato il deus ex machina del fisco, Befera cominciò a strizzare l’occhio pure al centrodestra, versione Gianni Letta, frequentando da vicino il lettiano Antonio Mastrapasqua, il presidente Inps poi costretto alle dimissioni per una scandalo collegato alla sanità laziale.