Con lo strepitoso successo dell’hashtag #AboliamoQualcosa, la campagna elettorale 2018 verrà ricordata come la prima dominata dalla derisione social: quella dei politici zimbello massacrati dalla burla in Rete. Mentre noi presunti esperti ci affannavamo a dimostrare, con aria seriosa e numeri alla mano, quali buchi e voragini avrebbe aperto nei conti statali l’abolizione della legge Fornero o del canone Rai o del bollo auto o delle tasse universitarie, e mentre i vari Berlusconi, Renzi, Salvini e Di Maio insistevano nelle mirabolanti promesse, ecco che #unarisata li ha seppelliti.
Davanti alla geniali proposte: “Aboliamo le porte con scritto ‘tirare’ o ‘spingere’ lasciamoci guidare dall’istinto”; oppure: “Aboliamo quelli che si fermano davanti alle porte della metro”, diventa difficile per qualsiasi venditore di pentole elettorali spararla grossa senza domandarsi: ma che cz sto dicendo…
Per esempio, chi se l’è proprio andata a cercare è Luigi Di Maio nell’annunciare l’abolizione non di una, non di due, non di tre, ma mi voglio rovinare, di ben “quattrocento leggi per ridurre la burocrazia”. Ebbene proprio nel relativo sito “ad hoc aperto a tutti” è stato fulminato dal tweet: “Aboliamo il congiuntivo così da favorire uno dei candidati premier”. Sono trascorsi quasi quarant’anni dalla pubblicazione dello Stato spettacolo di Roger-Gérard Schwatzenberg e, nel frattempo, nel teatro politico-mediatico si è assistito a un completo capovolgimento dei ruoli. Quando negli anni 60, il giovane e affascinante John Kennedy conquistò la Casa Bianca grazie a un terrificante primo piano televisivo della barba mal rasata di Richard Nixon (così si dice) erano ancora i comportamenti sulla scena a influenzare il giudizio della platea.
Uno schema classico che ha costretto la politica, sempre più sottomessa all’occhio della telecamera, a farsi spettacolo e poi intrattenimento (con il più esperto nel ramo, Donald Trump, giunto al vertice del potere dopo aver spazzato via uno dopo l’altro i competitori nel The Apprentice globale).
Oggi, la platea-community ha definitivamente conquistato la scena mediatica e chiunque con un hashtag azzeccato può mettere alla berlina il leader ballista destinandolo alla gogna virale. Perciò fanno un po’ sorridere i (falsi) allarmi sulle fake news, come se il popolo di Internet avesse l’anello al naso, mentre sappiamo che nella maggior parte dei casi agisce il pregiudizio di conferma. Ovvero: credo a ciò che mi conviene credere. In questo sistema volubile ad alta sorveglianza vincono autenticità, chiarezza e competenza. Le proposte sensate e il senso della misura. Al contrario, nella gara a chi la spara più grossa, alla fine, finiscono tutti in un telepanettone.