“Il Renzi veniva a rompere i coglioni, si doveva fare questa cosa perché dovevamo aprire là il ristorante” e “io so benissimo che quello è un lavoro che valeva massimo 50, 60 mila euro… se tu me ne chiedi 130 e sei il padre del presidente del Consiglio mi posso mettere a discutere con te, fammi lo sconto o non farmi lo sconto e tutto il resto?”.
È il 19 marzo 2018 quando Luigi Dagostino, l’imprenditore pugliese in affari con i coniugi Renzi, si sfoga nel suo ufficio con un suo collaboratore, l’architetto Alberto Ortona. Ma ormai è tardi anche per sfogarsi: le due fatture per complessivi 160 mila euro emesse dalle aziende di Laura Bovoli e Tiziano Renzi, genitori dell’ex premier, sono state saldate dalla Tramor, società di cui Dagostino era fino a poco tempo prima amministratore. Ma quelle fatture però, secondo il pubblico ministero di Firenze Christine von Borries, erano fittizie: sono state pagate senza ottenere una congrua prestazione, soltanto cinque paginette con delle piantine e indicazioni generiche sulla necessità di costruire un bar al The Mall, lo spaccio di abbigliamento sorto a Reggello, a pochi chilometri da Rignano sull’Arno, ex regno renziano. E ieri, il giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Firenze, Silvia Romeo, ha confermato la tesi dell’accusa, accogliendo le richieste formulate dal pm e rinviando a giudizio i coniugi Renzi per false fatturazioni insieme a Dagostino, imputato anche di truffa. Il processo si aprirà il 4 marzo, a un anno esatto dalle ultime elezioni politiche e a ridosso dalle Europee, davanti al giudice Lisa Gatto.
“Era una decisione scontata da quando abbiamo scelto di chiedere il processo nel marzo 2018”, ha detto lasciando l’aula del gup il legale dei Renzi, l’avvocato Federico Bagattini. “Vogliamo difenderci in un processo vero e non nel tritacarne mediatico”. Del resto, aggiunge, “le fatture ci sono, sono state regolarmente pagate e il progetto per il quale Renzi ha lavorato è in corso di realizzazione: siamo dunque molto fiduciosi”. Argomenti sviluppati da Bagattini nelle 11 pagine di memoria difensiva che ha depositato il 31 agosto in vista dell’udienza di ieri e dei quali però il Gup non sembra aver tenuto conto.
Il difensore di Dagostino, l’avvocato Alessandro Traversi, ha voluto sottolineare come già la Cassazione si sia pronunciata in maniera chiara sull’impossibilità di ritenere congruo o meno il prezzo pagato per una prestazione professionale. “Vedremo il processo”.
Dalle intercettazioni depositate dal pm si evince come Dagostino si difenda sostenendo di essere stato vittima di una “sudditanza psicologica perché quello è il padre di Renzi”, dice al commercialista Costantino Bigazzi. E lo ripete a chiunque. “Posso mettermi a discutere sul prezzo?”. Renzi, in pratica, voleva quei soldi e lui li ha pagati, sostiene. Fra l’altro, aggiunge, “ai tempi il figlio era in voga”. Solo la moglie nonché socia, Ilaria Niccolai, lo invita a reagire. “Noi non si può parare il culo a Renzi, è vero che te non hai preso lavori però, cioè, è inutile negarlo Luigi, te ti gonfiavi quando dicevi ‘Renzi è venuto da me’, ‘ho venduto la macchina a Renzi’ (…) solo ego, solo potere, dire ‘ero a cena a casa sua’, ‘ero a pranzo a casa sua’. È solo questo, ci hai rimesso e basta, era lui che si approfittava (…) per chiederti favori, assumi il nipote, fai questo, il dietologo del figlio era il loro… eee… con tutti hanno utilizzato la stessa tecnica… come si chiama questo? Abuso di potere, t’ho già fatto l’avvocato”.
Intanto ieri la Tramor ha depositato la richiesta di costituzione di parte civile: la società è stata costretta a modificare la propria contabilità già depositata per regolarizzare le fatture erroneamente inserite, fare un conseguente ravvedimento con l’Agenzia delle Entrate pagando le relative sanzioni. Ma certo, come ripete Dagostino, “il padre di Renzi mi rompeva i coglioni” per fare “un progettino” che “se lo chiedevo ad altri pagavo 30, 40”. Ma poi il figlio era “in voga” e “che faccio, mi metto a trattare?”.