Il premier Giuseppe Conte dà la colpa al negoziato con Bruxelles, chiuso all’ultimo. Poi reagisce stizzito a chi chiede spiegazioni: “Non controllo il Parlamento…”. Prova a rassicurare: entro oggi “confidiamo” che arrivi il maxi-emendamento da votare in serata con la fiducia per chiudere tutto alla Camera giovedì. Ma il testo finale resta fantasma, continuamente modificato tra la Ragioneria e il Tesoro, con discussioni, pare, anche accese. A microfoni spenti nessuno dà per certo che si faccia in tempo.
Il testo, che riscrive per intero la legge di Bilancio con le mille norme settoriali infilate dagli alleati e recepisce l’intesa con l’Ue di mercoledì, era atteso ieri alle 14 nell’aula del Senato. Alle 13 circolano già le prime bozze, tutte sbagliate, perfino sui saldi finali. I tempi slittano ancora: escono nuovi testi, nuovi errori. Diverse norme annunciate non compaiono. “Le stanno rivedendo”, filtra dagli uffici del ministero. Si cerca pure di infilarci modifiche all’ultimo secondo. Nel caos sbotta la sottosegretaria Laura Castelli (M5S): “Sono seriamente costernata per la continua fuoriuscita dei documenti riservati del Tesoro. Non è la prima volta. Circolano versioni del testo in lavorazione. Una assoluta mancanza di rispetto verso i tecnici, gli uffici, il Parlamento e il governo”.
Le realtà è, come al solito, più complessa. Riscrivere la manovra richiede tempo. Servono passaggi tecnici, stime sulle coperture. Un lavoro di coordinamento difficile da fare in pochi giorni. Anche perché, diversamente dal passato, non c’è più tempo per correggere errori rilevanti (il passaggio alla Camera è blindato). Vanno ricontrollate tutte le cifre. Alla Ragioneria “sono troppo fiscali”, e “si impuntano sui tecnicismi”, si lamentano i grillini più vicini al dossier a via XX Settembre. Il lavoro dei tecnici guidati dall’odiato (dai pentastellati) Daniele Franco, a cui spetta di controllare le coperture, è però complicato dal fatto che gli alleati litigano sui contenuti, continuano fino all’ultimo a chiedere modifiche, nuove norme.
Il malumore della Castelli, per dire, nasce dallo stop a un suo tentativo di inserire una modifica al regime di tassazione dei tabacchi. “Uno scudo fiscale per le multinazionali”, lo descrivono le agenzie. In realtà bloccava la possibilità che il Tesoro potesse aumentare l’onere fiscale minimo, uguale per tutte le marche di sigarette. A beneficiarne sarebbero state quelle della fascia di prezzo bassa. Una modifica, che sarebbe stata chiesta dalla British american tobacco (già finanziatrice della renziana fondazione Open), che ne ha più di tutte. Il tentativo, in ogni caso, è stato stoppato.
È però solo uno dei tanti episodi accaduti nelle ultime ore. I litigi riguardano sia norme rilevanti che di piccolo o piccolissimo cabotaggio. La Lega ha chiesto e ottenuto di far saltare la riduzione dell’aggio ai tabaccai per la vendita del “gratta e vinci”; i 5Stelle hanno fatto pressione per i soldi (e l’intervento dell’esercito) per le riparare le buche di Roma (60 milioni). La Lega voleva venire incontro agli Ncc (il noleggio con conducente usato anche da Uber) in rivolta per le norme su limiti e deroghe all’obbligo di tornare in rimessa per accettare la chiamata. M5S si è impuntato per tenere i tagli ai fondi per l’editoria e l’ecobonus per le auto elettriche. È battaglia pure per gli appalti senza gara sotto i 200mila euro, invisi ai 5Stelle.
Il grosso dei nodi, però, è sui temi più rilevanti. Salvini sarebbe riuscito a far rientrare il condono sulle cartelle fino al 2017 per i redditi bassi che ieri sembrava saltato per mancanza di coperture. Nelle bozze spariscono poi le misure più delicate, dalla web tax al blocco parziale della rivalutazione delle pensioni sopra i 1500 euro mensili. Entrambe sono state assicurate all’Ue e dovrebbero rimanere nel testo finale, ma gli uffici lavorano per limarle. La prima (una tassa del 3% sulle transazioni digitali), ieri è stata attaccata da Federazione degli editori e Confindustria, anche se riguarda solo i grossi gruppi (oltre 750 milioni di fatturato). La seconda è assai impopolare e si è cercato di spostarne il peso sugli assegni più alti. Un tira e molla che continua ad allungare i tempi.