Speravo di tenere la notizia nascosta ancora per un po’, ma purtroppo il sempre autorevole Il Giornale di Alessandro Sallusti l’ha spoilerata e diversi siti web l’hanno rilanciata: sono favoritissimo per la direzione del Tg1. La cosa non è ancora ufficiale perché – uso sempre le parole del prestigioso quotidiano della famiglia Berlusconi – sul mio nome si sta consumando uno “scontro interno tra le due anime del Movimento 5Stelle. Il sogno dei duri e puri, il gruppo che si riconosce nella leadership del presidente della Camera Roberto Fico, porta al nome di Marco Travaglio: il direttore del Fatto sarebbe la soluzione ideale per trasferire sulla prima rete della tv italiana le campagne antiberlusconiane e giustizialiste. Ipotesi su cui Luigi Di Maio non è d’accordo: le due opzioni su cui vuole puntare l’ala governista e moderata sono Gianluigi Nuzzi ed Enrico Mentana, ospiti fissi all’evento di Ivrea di Davide Casaleggio”. Dove, aggiungo io, quest’anno non ero invitato, dunque devo essere caduto un po’ in disgrazia, almeno nell’Eporediese. Però Fico e i duri e puri mi vogliono, quindi sto in pole position, e sono soddisfazioni.
È per questo – spiega l’influente testata – che lunedì il Fatto ha aperto la prima pagina con la notizia che Salvini vuole il Tg1: non per dare una notizia, ma per tenere libera per me l’ambita poltrona. Ora che sono a un passo dall’agguantarla, manca solo che arrivi il primo leghista che passa per la strada e me la soffi. Dai, su, non scherziamo. È una vita che ci lavoro. Nel marzo 2001, per dire, tutti sapevano che B. avrebbe stravinto le elezioni e io, come captatio benevolentiae verso il nuovo padrone dell’Italia e dunque della Rai, mi feci invitare da Daniele Luttazzi per parlare – per la prima volta in tv – dei suoi rapporti con la mafia. Speravo che mi fosse riconoscente, magari non proprio con la direzione del Tg1 (ero ancora troppo giovane), ma almeno del Tg2 o del Tg3. Invece l’ingrato Cavaliere fece proprio in modo che in Viale Mazzini (come pure in Mediaset, ça va sans dire) non mettessi più piede, estendendo il simpatico ostracismo a chiunque avesse osato invitarmi (Biagi, Santoro, Luttazzi, Freccero e così via). Allora mi dissi: mi saranno grati quelli del centrosinistra. Per invogliarli a prendermi in considerazione, criticai – per giunta sull’Unità, oltreché ad Annozero – per due anni le magagne del secondo governo Prodi. Purtroppo, chissà perché, non funzionò neanche con loro: al Tg1 mi preferirono Riotta. Nel 2008 tornò B. e io, furbo, mi feci subito amico il neopresidente del Senato, Renato Schifani.
Andai a raccontare a Che tempo che fa le sue liaisons dangereuses (tanto per cambiare con la mafia): credevo che per il Tg1 fosse fatta, invece mi attaccò persino Repubblica, mentre al tg-ammiraglia andò Minzolini. E io lì ad arrovellarmi: cos’avrà Minzo che io non ho? Mah. Nel 2013, appena il Pd arrivò primo alle elezioni, non aspettai neppure che facesse il governo: litigai subito in tv col nuovo presidente del Senato, Piero Grasso. Poi scrissi quel che pensavo del governissimo di Letta jr.. Con Napolitano non c’erano problemi: l’avevo già sistemato prima. Così, mi dissi, stavolta il Tg1 è mio. Invece, sorpresa: il centrosinistra vi piazzò un tal Maccari. Venne Renzi, e io giù a criticarlo, sperando in un minimo di riconoscenza. Invece quello mi antepose Mario Orfeo. Ora però, con 5Stelle e Lega, è il mio momento. Siccome Di Maio e Salvini muoiono dalla voglia di governare insieme, scrivo ogni giorno che quel matrimonio non s’ha da fare, così i due vincitori magari mi notano e mi mandano al Tg1. Tra populisti ci si intende, no? Invece scopro che Salvini vorrebbe Gennaro Sangiuliano (ma come: un leghista che preferisce un napoletano a un torinese come me? Non c’è più religione) e Di Maio predilige Nuzzi o Mentana. Però mi resta il presidente della Camera, che è già qualcosa, anche perché con quella del Senato, vabbè, è andata com’è andata.
A voi, cari lettori, lo posso dire: tengo così tanto al Tg1 che ho già messo giù un piano editoriale coi fiocchi, improntato a quel “giornalismo costruttivo” (o, per dirla col dg Orfeo che è madrelingua, “constructive journalism”) che una non meglio precisata “Rai Academy” sta insegnando a giornalisti, autori e programmisti registi per farla finita con gli assalti all’arma bianca che ci sorbiamo ogni sera in tutti gli ansiogeni e ipercritici tg; e per favorire “un approccio alla professione giornalistica centrato sul mettere maggiormente in luce soluzioni” e “aspetti positivi”, “rispetto agli aspetti negativi e problematici”. Io, che il constructive journalism lo pratico da una vita, mi sono già portato avanti col lavoro nel piano editoriale per il mio Tg1 prossimo venturo: cinque punti molto semplici e, soprattutto, molto costruttivi.
1. La mia direzione durerà 24 ore. 2. Il mio Tg1 si aprirà ogni giorno con una rubrica fissa dedicata a un protagonista delle trattative Stato-mafia o della corruzione nazionale (uno spazio ovviamente improntato a sottolineare le soluzioni e gli aspetti positivi: gli arresti sfusi o, meglio ancora, le retate di massa). 3. Il mio Tg1 parlerà dei politici, passando ogni giorno ai raggi X quello che dicono e fanno; ma non farà parlare politici, se non per chiedere conto delle loro azioni, e solo quando lo decideranno la direzione e la redazione, non i politici stessi. 4. Al Tg1 lavoreranno solo giornalisti assunti per concorso in base al curriculum, mentre saranno licenziati in tronco tutti i raccomandati, a cominciare dunque dal direttore, che infatti – come detto – si autolicenzierà dopo 24 ore. 5. Un istante prima, firmerò il contratto di assunzione ventennale del mio successore: Milena Gabanelli.