La Corte costituzionale svuota la riforma sull’autonomia differenziata, la legge firmata dal ministro degli Affari regionali, il leghista Roberto Calderoli, che detta il quadro normativo degli accordi tra Stato e Regioni a statuto ordinario per la devolution di competenze su 23 materie, tra cui la tutela della salute. Decidendo sui ricorsi presentati da Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, la Consulta ha ritenuto infondata la tesi dell’incostituzionalità dell’intero provvedimento, approvato in via definitiva lo scorso giugno, ma ha giudicato illegittimi sette aspetti centrali. La censura, spiega infatti un comunicato dell’ufficio stampa, riguarda innanzitutto “la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie“: la Corte, invece, “ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola Regione, alla luce del principio di sussidiarietà“, secondo cui le funzioni pubbliche devono in linea di principio essere svolte al livello più vicino ai cittadini, ma non se l’ente di livello superiore è in grado di svolgerle meglio. Per i giudici, infatti, la distribuzione di competenze prevista dall’articolo 116 della Carta non deve “corrispondere all’esigenza di un riparto di poteri tra i diversi segmenti del sistema politico”, ma “avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione”. E “in questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”.
A essere ritenuta incostituzionale è anche la procedura per la determinazione dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, una sorta di “minimo sindacale” di servizi da assicurare nelle 14 materie, tra cui istruzione e sanità, “riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale”. Secondo la Consulta, la delega assegnata all’esecutivo per definire questi livelli essenziali entro 24 mesi – disciplinata dall’articolo 3 della riforma – è troppo generica, cioè “priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”. Contraria alla Carta, in questo senso, è pure “la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm)”, cioè una norma secondaria non avente forza di legge, “a determinare l’aggiornamento dei Lep”.
Altre bocciature riguardano gli aspetti fiscali della legge: la Corte ha infatti giudicato contraria alla Costituzione “la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito”. In base a tale previsione, sostengono infatti i giudici, “potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni”. Ancora, è stata ritenuta illegittima “la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica”. Infine, è incostituzionale l’estensione della disciplina dell’autonomia differenziata “alle Regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali”. Il comunicato della Consulta conclude precisando che “spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti” derivanti dalla bocciatura delle norme, “nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”.